mercoledì 18 dicembre 2013
Non è affatto vero come sostengono alcuni cortigiani del Quirinale che nel discorso alle alte cariche dello Stato il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano abbia ricaricato l’arma delle proprie dimissioni. E posto tutte le forze politiche di fronte all’alternativa tra fare le riforme, istituzionali ed elettorale, ed il caos che si verificherebbe nel caso di dimissioni del Capo dello Stato motivate dal mancato accordo dei partiti sulle riforme.
In realtà è vero l’esatto contrario. Cioè che il discorso di Napolitano ha dimostrato che l’arma delle dimissioni è diventata scarica. Perché se il Capo dello Stato dovesse sul serio gettare la spugna e ritirarsi a vita privata per protestare contro l’incapacità delle forze politiche di portare avanti il progetto di riforme concordato alla nascita del Governo di larghe intese, il suo gesto troverebbe una larga maggioranza pronta a salutarlo come un atto liberatorio e non come l’anticamera dello sfascio definitivo. Napolitano ha correttamente ricordato che alla base del suo secondo mandato c’era l’impegno a realizzare le riforme indispensabili per la ripresa del Paese. Ed ha conseguentemente rilevato come l’assenza di riforme eliminerebbe la motivazione del suo rinnovato impegno al Quirinale e lo costringerebbe a mettere fine al suo nuovo settennato.
Ma ha dimenticato di evidenziare come la condizione politica inderogabile all’impegno per le riforme ed alla rinnovata fiducia del Parlamento nei suoi confronti sia stata l’eccezionalità della formula delle larghe intese. Solo un accordo straordinario e dettato dall’emergenza tra le due grandi forze che si erano combattute per vent’anni nel sistema bipolare avrebbe potuto assicurare non solo i numeri parlamentari ma il consenso politico e morale necessario alla doverosa opera di rinnovamento istituzionale.
Quell’accordo è saltato. Non per opera di una sentenza della magistratura che ha liquidato il leader del centrodestra, ma per la decisione del Partito Democratico di anticipare il naturale percorso giudiziario della sentenza per rivendicare, di fronte al proprio elettorato, il merito di aver ucciso politicamente il ventennale nemico divenuto accidentalmente un alleato. Da fine ed esperto politico Napolitano avrebbe dovuto capire che la scelta del Pd di ghigliottinare Berlusconi avrebbe comportato l’automatica fine del patto sulle riforme realizzato nell’aprile scorso con la formula eccezionale ed emergenziale delle larghe intese.
E da navigato Presidente della Repubblica avrebbe potuto almeno esercitare quella moral suasion spesa a piene mani nel passato per convincere i dirigenti del suo partito ad evitare forzature inutili e controproducenti. Ma di questa moral suasion sul Pd non si è vista l’ombra. Ed, anzi, Napolitano si è affrettato a benedire la scissione del Pdl provocata dalla forzatura del Partito Democratico in nome di una governabilità e di una stabilità che però erano fondate su un equilibrio politico completamente diverso da quello delle larghe intese. Equilibrio che non poteva e non può assicurare le riforme ma solo la sopravvivenza di un Esecutivo che non gode del consenso pieno neppure del partito dominante della sua coalizione.
L’arma delle dimissioni, minacciosamente esibita per tenere in piedi ad ogni costo il Governo Letta, quindi, è un’arma scarica. Perché se attivata non provocherebbe alcun caos ma solo un botto simile ai tappi di spumante della notte di Capodanno. Quei tappi che partono da soli quando le bottiglie sono state agitate troppo da mani maldestre!
di Arturo Diaconale