mercoledì 11 dicembre 2013
Sarà bene che qualcuno spieghi a Matteo Renzi che la riduzione del costo della politica non passa necessariamente attraverso la riduzione del numero dei parlamentari. Perché ridurre i deputati significa automaticamente allargare il perimetro delle circoscrizioni elettorali (o dei collegi a secondo del sistema di voto).
A sua volta allargare l’area delle circoscrizioni e ritornando al sistema delle preferenze voluto dalla Corte Costituzionale significa aumentare a dismisura il costo delle campagne elettorali dei candidati. Il ché, come l’esperienza del passato insegna, comporta non solo l’espandersi proporzionale del fenomeno del voto di scambio ma l’automatica moltiplicazione della corruzione e del saccheggiamento del denaro pubblico.
Ridurre le spese della politica, quindi, è sacrosanto. Ma imboccare la strada della demagogia per raggiungere un così importante risultato è sbagliato e controproducente. Perché se per risparmiare un miliardo di spese per la politica si produce l’aumento delle tangenti o dei pagamenti indiretti alle lobby che hanno favorito l’elezione dei candidati, il risultato è peggiore del problema che si voleva risolvere. Il risparmio che si ottiene riducendo i deputati o trasformando i senatori in rappresentanti temporanei delle autonomie locali viene bilanciato e superato da altri sprechi.
Con l’aggravante che all’aumento della spesa si aggiunge la moltiplicazione del malaffare e della corruzione. Renzi, quindi, dovrebbe stare molto attento nel trasformare le sue promesse elettorali, necessariamente generiche, in misure e provvedimenti concreti. Perché troppo spesso le strade dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni.
E, soprattutto, perché in un momento di difficoltà così forte della società italiana, testimoniata dallo scoppio delle tensioni sociali, non si possono compiere errori di sorta. Neppure in nome della buona volontà, dell’entusiasmo e di un cambiamento che è assolutamente necessario ma che non deve diventare un ulteriore fattore di peggioramento della situazione. L’appello a nuovo segretario del Partito Democratico a passare dalla propaganda elettorale per le primarie alla guida effettiva del principale partito della sinistra riguarda soprattutto la riforma della legge elettorale, resa indispensabile dalla cancellazione del “Porcellum” decisa dalla Consulta. Prima della decisione della Corte Costituzionale appariva opportuno legare la riforma della legge elettorale ad un nuovo assetto istituzionale.
E, quindi, affiancare al superamento del Porcellum anche una riforma costituzionale diretta, quantomeno, ad abolire il bicameralismo perfetto. Ma oggi che la Consulta anticostituzionale la vecchia legge può un Parlamento eletto con il Porcellum anticostituzionale procedere ad una qualche riforma della Costituzione? La contraddizione è palese. E dovrebbe spingere Renzi a riflettere sulla necessità di puntare solo su una riforma elettorale fortemente bipolare per rinviare le riforme costituzionali ad un nuovo Parlamento non più sporcato dall’ombra della incostituzionalità. Questo significa tenersi a breve Camera e Senato con i numeri attuali? Può essere. Ma sempre meglio che provocare altri disastri. E rilanciando quella democrazia dell’alternanza che è la condizione prioritaria per una politica più utile e virtuosa!
di Arturo Diaconale