sabato 30 novembre 2013
Giorgio Napolitano avrebbe voluto seguire la linea del “fare finta di nulla”. E di considerare il voto di fiducia sulla legge di stabilità come la chiusura formale della vicenda aperta dalla decisione di Forza Italia di uscire dalla maggioranza considerando chiusa l’esperienza dell’alleanza emergenziale con il Partito Democratico e Scelta Civica. Ma il Presidente della Repubblica ha dovuto suo malgrado rinunciare a questa linea.
E ad accettare la richiesta della delegazione di Forza Italia di prendere atto che la fine dell’alleanza delle larghe intese comporta una verifica parlamentare della coalizione e della formula politica venutesi a creare dopo la rottura del partito di Silvio Berlusconi. Nessuno è riuscito ancora a capire se per procedere a questa verifica il Capo dello Stato considererà opportuno l’apertura formale o meno della crisi di governo. È noto che Napolitano preferisca evitare un passaggio del genere. Perché, da politico navigato come è, sa bene quanto possa essere difficile e rischioso gestire una crisi pilotata.
Per cui è facile prevedere che cercherà di rendere il passaggio parlamentare di Enrico Letta il più rapido ed il meno pericoloso possibile evitando l’apertura di una crisi tradizionale con il consueto contorno delle consultazioni al Quirinale e, soprattutto, delle trattative tra i partiti per la nuova alleanza di governo.
Il problema, però, è che gli eventuali propositi di Napolitano e le scontate speranza di Letta di blindare al massimo il passaggio parlamentare si scontrano sulla richiesta esplicita di ogni partito che dichiara di continuare a sostenere l’attuale governo di voler ricontrattare e definire il nuovo programma della coalizione. Lo ha fatto esplicitamente Angelino Alfano, chiedendo di porre al centro della rinnovata azione governativa la riforma della giustizia ed ammonendo il Presidente del Consiglio a non dimenticare che senza i voti del Nuovo Centrodestra l’Esecutivo non è in grado di sopravvivere.
Lo ha fatto anche lo spezzone di Scelta Civica rimasto fedele a Mario Monti, che ha richiesto non solo un nuovo patto di governo ma anche un rimpasto della compagine ministeriale destinato a rispecchiare gli effetti della scissione della vecchia area montiana. Ma lo vanno facendo con estrema decisione i due principali candidati alla segreteria del Pd, Matteo Renzi e Gianni Cuperlo, che in nome di idee e progetti diversi, chiedono che da adesso in poi sia il Pd, partito diventato guida della coalizione, a fissare la direzione di marcia e gli obbiettivi di fondo del governo.
È possibile che tutte queste richieste, esigenze e sollecitazioni possano sfociare in un nuovo programma di governo attraverso un frettoloso passaggio parlamentare? Ma, soprattutto, è pensabile che questa verifica di governo possa chiudersi prima che il principale partito della coalizione abbia scelto, con il nuovo segretario, la nuova linea politica?
Ai tempi della Prima Repubblica la fine della larghe intese avrebbe provocato una crisi che sarebbe entrata in stallo fino alla elezione del nuovo segretario del partito di maggioranza relativa e si sarebbe conclusa solo al termine delle trattative politiche seguite alla scelta del leader della maggiore forza della coalizione. Ai tempi della Repubblica di Napolitano è probabile che la crisi si apra e si chiuda in un paio di giorni. Salvo, naturalmente, che si riapra dopo l’8 dicembre. Per chiudersi con il riscorso alle elezioni anticipate!
di Arturo Diaconale