venerdì 29 novembre 2013
Secondo l’ottimo Gianni De Michelis, in una sua lucida intervista a “Il Mattino”, sia Craxi che Berlusconi hanno avuto un’analoga conclusione politica: il primo consegnato all’esilio, il secondo all’esilio in casa, o ai servizi sociali, entrambi segnati indelebilmente dall’uso politico della giustizia e dal cupio destruendi delle sinistre (e per Bettino, anche delle destre più la Lega). L’immagine del duplice allontanamento si combina, tuttavia, con alcune varianti.
Intanto, la fine tragica del leader socialista è stata anticipata dalle monetine all’Hotel Raphael, esattamente vent’anni fa, che hanno imposto la violenza della “piazza”, rossa e nera, ad un Parlamento paralizzato dal terrore giudiziario e, soprattutto, ad un Colle pavido che impose allo stesso Parlamento di spogliarsi dell’immunità parlamentare, vero fomite di ciò che è riaccaduto nel 2013, vent’anni dopo.
Il Colle di ieri era così diverso da quello di oggi e dal suo attuale inquilino? In Forza Italia, e non solo, prevale l’idea della somiglianza tant’è che Napolitano è stato gratificato di epiteti accusatori con assonanze rispetto a quelli antiscalfariani. E qualche commentatore ha osservato che il Presidente avrebbe ben potuto, dopo la sua benedizione/imposizione delle larghe intese, usare una decisiva moral suasion privata e pubblica indirizzata a placare gli odi anti-Cav, favorendo la linea morbida dell’approdo della questione della Legge “Severino” alla Suprema Corte, pensata anche da non pochi responsabili del Partito Democratico, da Violante a Boccia a Sposetti. Si evitava così il precipizio dell’aula senatoriale dove ha ben ragione un attento Bordin (sul Foglio) a rilevare “il guaio serio prodottovi dalla ratifica della liquidazione giudiziaria di Berlusconi”.
Se poi si ricorda che nel 1993 era presidente della Camera lo stesso inquilino del Quirinale di oggi e che, proprio lui, adesso, anzi da mesi, è nel mirino di certi magistrati palermitani, qualche analogia comportamentale, timorosa ed eccessivamente prudente, si potrebbe pur notare. Il fatto è che Napolitano è naturaliter prudente da sempre, da comunista, da post comunista e ora da Presidente della Repubblica guidato da convinti e convincenti principi liberali e costituzionali.
Non è possibile escludere che prima e dopo la sentenza della Cassazione abbia usato tutte le sue arti politico-diplomatiche per smussare, convincere, indirizzare, placare e orientare, pur sempre con la discrezione morbidamente sobria del suo stile, come uscito da una Magna Carta filtrata dai bizantinismi politichesi di un’Italia incorreggibile. E di una sinistra cresciuta nell’odio antiberlusconiano, che voleva indefettibilmente la scalpo di un leader “perseguitato” giudiziariamente ma che ha segnato vent’anni. Esattamente come volle e ottenne quello di un Craxi criminalizzato oltre ogni dire ma che ha segnato più di un decennio di storia. Fra i due, dunque, altre somiglianze. Ma c’è un però. Berlusconi, a differenza di Craxi, non è rimasto solo, senza famiglia/partito.
Craxi, invece, era rimasto letteralmente privo di un partito imploso fra criminalizzazioni inaudite e divisioni interne devastanti, con tutti i media, compresi quelli del Cavaliere, scatenati contro. Si batté comunque come un leone - come pure il Cavaliere - persino dall’esilio via fax, ma qui fu lasciato morire anche da quel Colle e da quella sinistra che gli offrì, post mortem funerali di Stato, e che solo dopo dieci anni cominciò a riabilitarlo senza che peraltro lui ne avesse mai richiesto, fino in limine mortis.
Quella sinistra non ha mai voluto fare i conti col liberalsocialismo craxiano, finendo in un papocchio cattocomunista e auto-precludendosi l’accesso alla grande famiglia socialdemocratica, la stessa che oggi, ironia della sorte, si accinge alle “Larghe Intese made in Deutschland”, mentre da noi queste intese si restringono. Non aver fatto i conti con quelle vergognose monetine e col lascito politico di Craxi ha dischiuso un ventennio marcato indelebilmente da un Berlusconi frutto, ad un tempo, della devastazione giudiziaria inopinatamente produttrice, con l’appoggio della gauche giustizialista, di un esito imprevisto che ha riempito i vuoti dei partiti annichiliti. Riempiendo vent’anni di sé.
Si può dire, infine, che la decadenza, questa decadenza - che susciterà vittimismi e passioni e voglia di elezioni vendicatrici - chiude un ventennio? Si volterà pagina? No, almeno fino a quando questa sinistra, da Renzi in giù, non avrà fatto i conti con il berlusconismo; i conti veri, politici, che comportano severe autocritiche sui loro errori in questi vent’anni, compreso l’ultimo della decadenza. Non li fecero allora con Craxi. Temiamo che non li compiano oggi con l’odiato Caimano. E la pagina non si volterà.
di Paolo Pillitteri