venerdì 29 novembre 2013
La linea del “fare finta di nulla” suggerita da Giorgio Napolitano ad Enrico Letta rischia di trasformarsi nella linea del “non fare nulla”. Il Presidente della Repubblica non vuole una crisi di governo che porterebbe fatalmente alle elezioni anticipate. E pensa che l’unico modo per esorcizzare il pericolo sia di non riconoscere la metamorfosi politica subìta dalla coalizione governativa con il passaggio dalle larghe intese alle piccole intese.
Da parte sua, il Presidente del Consiglio è ben felice di seguire l’indicazione del Capo dello Stato che lo mette al riparo da una possibile caduta. E cerca di rinforzare la forzata indifferenza per l’uscita dalla maggioranza della parte più cospicua del centrodestra, aggiungendo alla linea del “fare finta di nulla” la linea del “meno siamo, meglio stiamo”. Nel tentativo di convincere gli italiani che un governo sorretto da una maggioranza provvista di soli sei voti di vantaggio sull’opposizione (oltre, naturalmente, le ruote di scorta dei senatori a vita) è infinitamente più solida ora che non c’è più Brunetta ad incalzare quotidianamente sui conti pubblici il povero Saccomanni. Ma questo gigantesco castello di carte costruito da Napolitano e Letta per ovviare alle scontate conseguenze della scelta del Partito Democratico di ghigliottinare politicamente l’odiato nemico Silvio Berlusconi rischia di crollare miseramente.
Perché si può anche fare finta di nulla e non riconoscere che l’uscita di Forza Italia dalla maggioranza ha provocato la fine dell’esperimento consociativo e la nascita di un governo a trazione Pd. Ma la finzione potrà durare solo fino a quando non si dovrà necessariamente prendere atto che il governo che fa finta di nulla è drammaticamente destinato a non poter fare proprio nulla. È decisamente ridicolo sentire chi sostiene che il governo, finalmente libero dalla zavorra berlusconiana, potrà adesso correre speditamente lungo il percorso delle riforme. Non solo quelle che possono essere realizzate da maggioranze semplici ma anche quelle, come le costituzionali, che richiedono maggioranze molto più ampie.
In realtà non ci vuole una grande conoscenza del passato per sapere che un governo retto da un margine di sei voti non ha alcuna possibilità di operare, ma deve solo sperare di tirare a campare evitando accuratamente qualsiasi atto potenzialmente in grado di compromettere il proprio equilibrio precario. Può al massimo dedicarsi al gioco delle tre carte, come ha fatto sulla legge di stabilità, facendo scomparire una tassa da una parte per farla ricomparire sotto una diversa etichetta da un’altra. Ma non può mettere mano a nulla di diverso e di più incisivo se non vuole che la difficile sopravvivenza si trasformi di colpo in coma irreversibile. Preoccupa, allora, sentire Angelino Alfano che intima ad Enrico Letta di mettere la riforma della giustizia in posizione prioritaria nell’agenda di governo.
Al massimo questa maggioranza può impegnarsi a salvare se stessa salvando la Cancellieri (e con il concorso di Forza Italia)! Cosi come preoccupa ascoltare Quagliariello che preannuncia la riforma elettorale e le riforme istituzionali sapendo perfettamente che neppure se durasse per tutta l’attuale legislatura (e anche quella oltre) questa maggioranza sarebbe in grado di riuscire nell’impossibile impresa. La ragione di tanta preoccupazione è presto spiegata. La linea del fare finta di nulla si è già tradotta nella linea del fare nulla. Tranne tante chiacchiere vuote in attesa che il Pd di Renzi dia il colpo di grazia al niente!
di Arturo Diaconale