Spending Review e trappola democratica

sabato 23 novembre 2013


Alla disperata ricerca di risorse da redistribuire, i partiti vecchi e nuovi, compreso il Movimento Cinque Stelle, continuano a promettere al popolo miracolose moltiplicazioni di “pani e pesci”. Il che, tradotto in termini più attuali, significa meno tasse e più spesa pubblica. O meglio, su quest’ultimo piano va molto di moda parlare di tagli alla cosiddetta spesa improduttiva, sottintendendo che occorra salvare quella “utile”, magari incrementandola a vantaggio dell’occupazione, dell’istruzione e dei più bisognosi.

Ma la verità sostanziale ci dice ben altro. Malgrado la pletora di commissioni, ben 25, create a caduta dietro il nuovo supercommissario alla spending review Cottarelli, in Italia nessuno ha il coraggio di intaccare il meccanismo cardine che sta alla base della nostra democrazia di pastafrolla: spendere i soldi degli altri in cambio di consenso. E sotto questo profilo l’unica forma di stabilità di governo che fin qui abbiamo conosciuto si sostiene esattamente su tale presupposto. Fin quando i soldi degli altri, crediti compresi, arrivano copiosi per essere redistribuiti dalla classe politica tutto si regge. Tuttavia, nel momento in cui questi cominciano a scarseggiare, l’unica strada che i vari governi hanno saputo percorrere è quella di applicare le famigerate clausole di salvaguardia, aumentando indiscriminatamente tasse e balzelli.

In questo modo l’Italia, per non voler scontentare la sempre più vasta platea di chi vive di spesa pubblica, si sta trasformando in un deserto produttivo in cui si lavora sempre meno ma si pagano sempre più tasse. Il problema, però, è che la tanto bistrattata curva di Laffer sta maledettamente funzionando nel nostro laboratorio italiota. Infatti, laddove si è maggiormente accanita la scure del fisco - pensiamo all’Iva o alle assurde patrimoniali nascoste introdotte da quel cervellone di Monti nel settore degli investimenti finanziari - più evidente è stata la contrazione del relativo gettito.

Oramai anche i più sprovveduti hanno intuito che il livello della pressione tributaria allargata ha superato di gran lunga il punto di non ritorno. Eppure anche il governo Letta continua a riproporre illusorie alchimie sul piano della stabilità finanziaria, spargendo a piene mani gratuiti annunci rassicuranti. Nondimeno, la questione nodale di un sistema politico-burocratico che si regge con lo sputo su una redistribuzione folle e una tassazione feroce non può certamente essere affrontata in tal modo, evitando ancora una volta di intaccare gli enormi interessi “democratici” che si annidano dentro una spesa pubblica che ha superato oramai, complice una depressione senza fine, il 55% del reddito nazionale.

D’altro canto, me ne sto sempre più persuadendo, se non si taglia oggi ciò che va veramente tagliato, a persuaderci a farlo provvederà in futuro la spettrale Troika. Già sembrano avvertirsi in lontananza i suoni sinistri dei suoi elicotteri. Staremo a vedere.


di Claudio Romiti