venerdì 22 novembre 2013
Matteo Renzi ha annunciato che dal 9 dicembre, cioè dall’indomani del suo ormai quasi certo insediamento alla guida del Partito Democratico, l’agenda del Governo cambierà radicalmente. Perché con la scissione del Popolo della Libertà le larghe intese sono finite, il Pd rappresenta il settanta per cento della maggioranza ed un Esecutivo che non è più costretto a dipendere da Silvio Berlusconi e che è segnato da una forte prevalenza della sinistra non può più galleggiare e sopravvivere ma deve cambiare completamente il passo.
Il ragionamento non fa una piega. Perché la scissione del Pdl con la nascita di Forza Italia spinta verso l’opposizione e quella del Nuovo Centro Destra attestato a difesa del governo Letta, ha di fatto spostato radicalmente a sinistra il baricentro della nuova maggioranza. E perché se il prossimo segretario del Pd Matteo Renzi vorrà superare indenne le insidie che gli verranno da quella metà del proprio partito che non lo ha votato nei circoli e che lo considera un pericolo, dovrà imporre al governo Letta di realizzare concretamente un’azione politica non più fondata sul compromesso con le forze moderate ma fortemente caratterizzata in chiave di sinistra. L’annuncio non può far piacere ad Enrico Letta, che dal 9 dicembre si troverà costretto a subire i diktat del “padrone” della forza egemone della propria maggioranza.
E lo dovrà fare cercando di conciliare il ruolo di subordinato al nuovo segretario del Pd con quello di naturale competitore di Renzi alla guida dei governi della futura legislatura. Ma mette in grave difficoltà non solo gli scissionisti del Pdl rimasti a fare le “sentinelle antitasse” nel Governo ormai segnato dal predominio dei tassatori ma anche quella parte di Scelta Civica che ha rotto con Mario Monti per non diventare un cespuglio della sinistra e per creare con Casini ed Alfano l’area centrista del popolari italiani. Possono queste forze appena nate e che hanno l’esigenza di darsi al più presto un’identità che non può essere quella degli “utili idioti” del Pd, accettare passivamente la svolta nell’azione del Governo preannunciata da Matteo Renzi?
La loro idea è quella di sostenere il Governo fino al 2015 per avere il tempo necessario a dare vita ed a consolidare un’area dei popolari che potrebbe svolgere un ruolo fortemente attrattivo nei confronti dell’elettorato di centrodestra, reso nel frattempo orfano di un Silvio Berlusconi espulso dal Parlamento e relegato ai servizi sociali. Ma se anche Renzi accettasse di restare un anno a bagnomaria prima di tentare l’assalto alla premiership, come potrebbero mai gli Alfano, i Mauro, i Casini cercare di assorbire i voti berlusconiani continuando a sostenere un governo che vira radicalmente a sinistra infischiandosene delle loro esigenze?
La domanda non riguarda solo i diretti interessati, ma l’intero schieramento di un centrodestra che alla vigilia della campagna elettorale per le Europee (e forse anche per le Politiche) non può subire passivamente la trasformazione del Governo delle larghe intese in un Esecutivo di sinistra manovrato da un futuro segretario del Pd che voleva diventare Blair che ma che rischia di imitare e fare la fine di Veltroni.
di Arturo Diaconale