martedì 19 novembre 2013
Dei tre partiti che tengono in vita il governo di Enrico Letta, due si sono spaccati e scissi e il terzo si prepara a celebrare delle primarie che dovrebbero incoronare segretario un tizio che ha come esigenza prioritaria quella di liquidare le larghe intese e puntare a diventare il candidato premier della sinistra in elezioni da tenere entro primavera.
In aggiunta a questi dati, larghi settori del partito che è diventato la forza egemone super maggioritaria della coalizione di governo ha deciso, per esigenze di visibilità legate alla competizione delle primarie, di affiancare il Movimento Cinque Stelle nel chiedere la testa del ministro della Giustizia, che non solo ricopre un dicastero chiave per la vita dell’Esecutivo ma è anche la punta di lancia di quel “Partito del presidente” che rappresenta il primo e principale puntello del governo di Enrico Letta. Rispetto ad un quadro così chiaro qualcuno si ostina ancora a chiedersi se la scissione della componente alfaniana dal Popolo della Libertà abbia rafforzato o meno la stabilità di governo.
Che lo faccia il segretario del Partito Democratico, Guglielmo Epifani, rallegrandosi della spaccatura del centrodestra è comprensibile. Fa il suo mestiere e sarebbe stravagante se si comportasse in maniera diversa. Ma che lo facciano autorevoli commentatori dei grandi giornali è per un verso risibile e per l’altro fin troppo indicativo il livello insopportabile di mistificazione raggiunta dall’informazione nazionale politicamente corretta. Quella che tenta di nascondere la bocciatura secca della legge di stabilità compiuta dalla Commissione economica europea. Quella che inneggia all’annuncio di Letta e Saccomanni della ormai prossima uscita dalla crisi e tenta di nascondere in tutti i modi che la recessione si aggrava e che il Paese è ormai sull’orlo del collasso.
Quella che a parole non può fare a meno di disprezzare le larghe intese sull’esempio di Enrico Letta ma che nei fatti, sempre sull’esempio del Presidente del Consiglio, si ostina a bollare sprezzantemente chiunque abbia il coraggio di denunciare il fallimento dell’attuale Esecutivo e il suo totale asservimento alla linea imposta dall’ordine nuovo europeo imposto da Berlino con l’epiteto di populista eversore ed antieuropeista. Questa ostinazione nel non riconoscere che il governo è un morto che cammina non è solo un segno di omologazione ed asservimento al politicamente corretto dei poteri forti. È anche e soprattutto un modo ottuso e controproducente di tentare di esorcizzare la presa d’atto che l’autobus di Letta è arrivato al capolinea e che non può andare oltre a meno di non fare un testacoda e distruggere definitivamente il Paese.
Con questo comportamento strumentale e mistificatorio i media asserviti vorrebbero convincere l’opinione pubblica che il passaggio dalle larghe intese a quelle ristrette è solo una ritirata strategica per ricompattare il fronte e che la guerra contro la crisi continua. Ma la maggioranza dei cittadini non cade nella trappola. Sente puzzo di 8 settembre e di tracollo a breve. E non è detto che questa volta subisca passivamente il tradimento della classe dirigente e che non decida di liberarsi una volta per tutte dai mistificatori, dagli imbroglioni, dai venduti e dagli incapaci.
di Arturo Diaconale