sabato 16 novembre 2013
Giorgio Napolitano è diventato come Giuseppe Garibaldi alla fine dell’Ottocento. Di lui non si può parlare male. E chi lo fa diventa un reprobo da trattare a colpi di sdegno, condanna ed esecrazione politicamente corretti. Il ruolo di empio eversore della santità del Capo dello Stato è normalmente ricoperto da Beppe Grillo, che di questa etichetta ne ha fatto una caratteristica per marcare la sua natura di leader anti-sistema. Ma qualche volta tocca anche a Sandro Bondi, che dal versante opposto di tanto in tanto lancia stilettate all’inquilino del Quirinale accusandolo di non aver “tutelato” Silvio Berlusconi.
Giovedì scorso Giorgio Napolitano, nel saluto a Papa Bergoglio, ha espresso preoccupazione per la situazione politica italiana definendola segnata da “esasperazioni di parte in un clima avvelenato e destabilizzante”. E subito il falco Bondi ha bruciato sul tempo Grillo accusando il Presidente della Repubblica di non aver mosso un dito per evitare e rimuovere queste esasperazioni ed incassando la consueta raffica di proteste all’insegna dello sdegno, della condanna e dell’esecrazione. Bondi ha fatto la pipì fuori dal vaso? In realtà ha messo il dito su una piaga reale. Che è quella della scelta del Presidente della Repubblica di attenersi rigidamente alle proprie prerogative e competenze presidenziali per non interferire in alcun modo nella vicenda giudiziaria e politica di Silvio Berlusconi. Formalmente la scelta di Napolitano non fa una piega.
Tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge. E poiché la legge ha condannato il cittadino Berlusconi, il Capo dello Stato non può fare altro che attenersi alle regole che gli impongono un comportamento neutro. Ma Berlusconi è un cittadino normale che un buon terzo di italiani da oltre vent’anni ha scelto come proprio rappresentante principale e che, soprattutto, agli occhi di questa larga fetta di società nazionale è considerato vittima di un’ingiusta ed interminabile persecuzione giudiziaria.
E può un Presidente della Repubblica che negli ultimi due anni ha scavalcato ogni forma di ingabbiamento formalistico per incidere pesantemente sull’andamento della vita pubblica del Paese trattare in forma neutra una vicenda che oltre ad incidere sulla credibilità della democrazia italiana costituisce oggettivamente una delle cause principali di quelle tensioni ed esasperazioni di parte che rendono il clima italiano “avvelenato e destabilizzante”? Bondi, allora, non ha tutti i torti nel rilevare che Napolitano predica bene ma nel caso Berlusconi razzola male.
E non perché dal Capo dello Stato ci si sarebbe aspettato un qualche intervento improprio sulla magistratura o la decisione di dare la grazia al leader del Pdl-Forza Italia infischiandosene delle regole che impediscono al momento un atto del genere. Ma perché da Napolitano ci sarebbe aspettato un po’ di quella moral suasion che dispensa giornalmente a piene mani su ogni vicenda politica nazionale per convincere i suoi vecchi compagni di partito ora alla guida del Pd di evitare ogni forzatura politica nei confronti dell’alleato delle larghe intese e di lasciare fare il “lavoro sporco” alla magistratura.
Questa moral suasion non c’è stata. Napolitano non ha battuto ciglio di fronte alla volontà del Pd di infilare sulla picca del voto palese la testa di Berlusconi per esporla di fronte al suo popolo festante. Perché non poteva o perché sperava che l’eliminazione politica di Berlusconi avrebbe, a differenza di quella giudiziaria, provocato la scissione del Pdl ed il rafforzamento del quadro politico da lui costruito negli ultimi due anni? L’interrogativo è aperto. Ed è proprio un interrogativo del genere che permette a Sandro Bondi di imitare il poeta e di dire che il “mondo ancor l’offende”?
di Arturo Diaconale