venerdì 15 novembre 2013
Un paio di anni fa sono stato a Belgrado. Una città dignitosa dove si vedono ancora i segni della guerra. Nel ministero della Difesa c’è ancora un missile americano inesploso che nessuno tocca perché è troppo pericoloso e toglierlo costa un sacco di soldi. Il resto della città è animata da moltissimi giovani, è tranquilla e dignitosa. Non c’è lusso sfrenato. Ci sono merci di tutti i tipi e le strade commerciali sono, agli occhi di un europeo dell’ovest, dignitose ma non sfavillanti. Non sono ricchi, questo si vede subito. C’è un forte sentimento e voglia di crescere. L’ho invidiato, quel sentimento, Mentre mangiavo un cevapci, panino gustosissimo con carne alla griglia e pieno di cipolle che è il piatto principale dell’intera area balcanica, nei fast food di strada e nei ristoranti. Fino al 1995, grosso modo, la Sicilia si era lamentata di una costante ma purtroppo lenta crescita. Questo portava i siciliani e il Sud, in generale, ad allontanarsi sempre più dalla locomotiva del Nord. Pur nelle lamentele, nel corso degli anni ‘80 le emigrazioni conobbero una forte riduzione. Chi voleva andarsene dalla Sicilia lo faceva perché inseguiva i suoi sogni, non più la sopravvivenza. Poi la crasi tra la voglia di rinnovamento e la ribellione contro poteri apparentemente inamovibili, le promesse di sviluppo ancora maggiore, la liberazione dalla corruzione della Prima Repubblica. Siamo arrivati alla Seconda e ci siamo ritrovati con una legge Bassanini che cedeva le competenze sulla gestione esecutiva delle decisioni politiche ai funzionari inamovibili, la distruzione sistematica dei controlli preventivi, la riduzione delle prescrizioni, la depenalizzazione di molti reati che avevano condotto anche a tangentopoli, l’eliminazione del divieto di incrocio azionario tra banche e industrie, il disfacimento della coerenza dei codici di procedura penale e civile, nessuna vera riforma, a parte quella elettorale e quella pseudo federale, dai costi abnormi. Il risultato di tutte queste cose, con due fattori esterni come la guerra in Iraq, quella in Afghanistan, motivate dalla vendetta agli attacchi terroristici americani, spagnolo, britannico, e altri minori, ci hanno condotto ad oggi. L’oggi è fatto di distruzione dell’apparato produttivo italiano e alla resa, dell’Italia e di quella parte del Sud, al sottosviluppo. I sogni di grande industria sono spariti, le infrastrutture non si costruiscono, la terziarizzazione della società siciliana c’è solo in termini di assunzioni nelle Pubbliche Amministrazioni. In sostanza, non c’è chi produce ricchezza, ma c’è chi la consuma. I dati Istat sono impietosi. Ma vanno trattati. Quest’anno l’Istituto di Stato ci dice che il reddito familiare italiano medio è di 17mila Euro. Pochi anni fa era di circa 21mila. Ed erano già pochi, in realtà. A voler pagare tutto. Una stima che feci insieme ad altri ricercatori con i quali collaboriamo con il Mec, il Movimento Elettori e Consumatori che presiedo oggi, e l’Istituto di ricerca dei Consumatori, parlava dell’impossibilità per una famiglia italiana di mantenere i consumi, già nel 2005. Ora che mancano all’appello quattromila Euro l’anno è ancora più difficile pagare tutto. E infatti non si pagano più molte cose. La media Istat è però bugiarda. I soldi che abbiamo davvero in tasca sono meno di milleduecento al mese. Ci sono le tasse da togliere e anche la stortura di una concentrazione della ricchezza che vede il 10% degli italiani prendersi la metà della ricchezza prodotta. Passi se a prendersi questo surplus fossero capitani d’industria, ma a qui ad avvantaggiarsi sono redditieri senza rischi che arraffano soldi pubblici senza alcuna giustificazione. Fatto sta che grazie a questi signori, geni dell’arraffo, il 93% dei siciliani, per esempio, dove i più ricchi che si prendono la metà del reddito sono solo il 7%, si devono accontentare di soli 9mila Euro, al netto dei nuovi aumenti tributari ai quali tutti siamo soggetti. Cosa accadrà? Che pagheremo ancora meno, un po’ di tutto. Sapendo che il futuro riserverà sorprese ancora più brutte se non si affronta la questione in modo serio, non pagheremo tasse, bollette e tutto quello che potremo evitare di pagare. Odio dire lo avevo detto, ma un paio di anni fa il nostro gruppo di ricercatori aveva vaticinato che saremmo tornati alla situazione economica della fine degli anni Sessanta in breve tempo. È quello che sta accadendo. Il Mec ha proposto, per evitare questo disastro, un limite alla tassazione delle famiglie. Stato, Regioni, Comuni, Provincie, se resteranno in piedi, devono mettersi in testa che devono limitare le loro spese. Chiedere più del 40% in totale del nostro reddito è criminale e ammazza l’Italia. Quindi: stop ai nuovi tributi comunali, riduzione dell’Iva al 18% e piano di rientro dai costi delle Pubbliche Amministrazioni, oltre a quelli della politica. Non c’è alcuna giustificazione per avere stipendi da 400mila Euro per i dirigenti generali. L’Ocse ci stigmatizza perché i dirigenti pubblici senior hanno addirittura 600mila Euro di stipendio. E quando leggo che ci sono incarichi gratuiti, a me vengono i sudori freddi: ho la quasi certezza che l’esperto prescelto sia in un conclamato conflitto d’interessi vero che andrebbe indagato all’istante. Se non lo è, ed è veramente esperto, per carità, grazie, e gli italiani gliene rendano giusto merito. Ma i sospetti, in molti casi, ci sono e restano. La nostra situazione, se non si interviene con cure immediate ed efficaci, è irrimediabilmente persa. Eppure, intervenendo con decisione e competenza, saremmo capaci, ancora oggi, di riprendere la crescita ad un minimo del 3% annuo. Anche perché la nostra base di partenza è molto bassa. Se non si fa, allora i 9mila Euro al netto di tasse e spese obbligatorie di oggi, in Sicilia, saranno ancora meno domani. Lo scenario peggiore vede l’abbandono delle città. Le belle case costruite dieci o venti anni fa in campagna o in periferia, saranno abbandonate o varranno pochi Euro, come a Detroit, negli Usa. Quando questo accadrà, il nostro lusso sarà comprarci un panino con le polpette, una sera al mese. Come in Serbia oggi. Ma non a Belgrado. Lì ci stanno i ricchi. E domani, con ogni probabilità, i ricchi che aspetteremo per guardare la Fontana di Trevi saranno loro, o cinesi, o indiani. La soluzione? Si chiama programmazione della crescita. Ma di questo ne parleremo ancora.
(*) Presidente del Mec (Movimento Elettori e Consumatori)
Tratto da Notapolitica.it
di Claudio Melchiorre (*)