I diktat di Napolitano e l'asse Letta-Alfano

giovedì 17 ottobre 2013


Giorgio Napolitano ha ricordato di aver accettato il rinnovo del mandato presidenziale solo a condizione di poter assistere al varo delle riforme indispensabili per la ripresa del Paese.

Ed è tornato a lasciar intendere che se queste riforme non dovessero vedere la luce non avrebbe altra strada che prendere atto del fallimento e rassegnare le dimissioni da Presidente della Repubblica. Questa chiara posizione del Capo dello Stato costituisce il solo puntello su cui poggia la cosiddetta stabilità. Il governo delle larghe intese è nato e rimane in piedi solo perché sorretto dalla linea tenuta dal Quirinale.

E ha come unica funzione non solo quella di varare i provvedimenti economici contro la crisi e per la ripresa, ma soprattutto quella di favorire la riforma della seconda parte della Costituzione con la riforma elettorale e la riforma della giustizia. Molti, da Bondi a Beppe Grillo, cioè da destra e da sinistra, hanno criticato e continuano a contestare il ruolo assunto da Napolitano. Che per qualcuno è una sorta di “Lord Protettore” degli equilibri politici e del sistema democratico e per qualche altro è un Ataturk senza divisa che ha instaurato una sorta di “democrazia protetta” nel nostro Paese.

Ma il problema non è se l’attuale Capo dello Stato svolga un ruolo politico compatibile con la Costituzione, come dice il ministro Quagliariello, o se invece, come propone Grillo, debba essere sottoposto a impeachment. La vera questione che il caso Napolitano pone è se il suo ruolo sia uno stimolo alla trasformazione innovativa del sistema o se, al contrario, sia una sorta di tappo destinato a bloccare qualsiasi processo di cambiamento. Il dilemma nasce non dal comportamento di Napolitano, a cui in un momento di stallo totale è stato chiesto di compiere il sacrificio del rinnovo del mandato e che ha accettato di sobbarcarsi un onere così pesante solo a condizione di vedere realizzate le riforme.

Nasce dal comportamento delle forze politiche che sul puntello rappresentato dal Capo dello Stato hanno dato vita alla cosiddetta “stabilità” assicurata dalle larghe intese e che ora debbono usare puntello e stabilità per varare le riforme e fronteggiare al meglio la crisi. Il governo dell’asse Letta-Alfano, in sostanza, sta sfruttando al meglio il sacrificio di Napolitano o lo sta progressivamente dilapidando rimanendo al passo sulle riforme e non incidendo sul terreno delle misure anticrisi? La presentazione di una legge di stabilità priva di qualsiasi acuto e l’assenza di un solo passo in avanti sulla strada delle riforme e in particolare di quella elettorale, sembrano alimentare la seconda impressione.

Cresce, in altri termini, il timore che la “democrazia protetta” sia del tutto inutile e che il sacrificio del Presidente della Repubblica sia controproducente. Per cancellare il pessimismo il governo delle larghe intese oggi fondato sull’asse Letta-Alfano non ha molto tempo. Solo il tempo che manca alla fine dell’anno e all’approvazione della legge di stabilità. Se per quella data avrà dimostrato che il ruolo di Napolitano è uno stimolo positivo, bene. Altrimenti bisognerà prendere atto che l’Aquirinale è un tappo al cambiamento e tirarne le dovute conseguenze!


di Arturo Diaconale