Legge stabilità, tomba per le larghe intese

mercoledì 16 ottobre 2013


Due sono le ragioni che giustificano l’interruzione della democrazia dell’alternanza e la conservazione di un governo di larghe intese formato da forze naturalmente antagoniste. La prima è il cambio del sistema politico. Cioè la fine della democrazia dell’alternanza e il ritorno a un sistema partito proporzionalistico che trova il suo punto di equilibrio nelle aggregazioni al centro.

La seconda è l’esigenza di fronteggiare gravissime situazioni d’emergenza con misure eccezionali capaci di far uscire il Paese dalle particolari difficoltà in cui ha finito con il trovarsi. La prima ragione viene negata dalla stragrande maggioranza delle forze politiche. Tranne l’Udc di Pierferdinando Casini e qualche settore cattolico di “Scelta Civica” non esiste un solo personaggio di spicco della scena politica nazionale che predichi apertamente il ritorno al passato della Prima Repubblica e alla stabilità assicurata da un centro inamovibile formato da una forte componente cattolica alleata con una parte della sinistra riformista. Naturalmente nessuno crede che siano i soli Casini e Mauro a promuovere la corsa del gambero.

E tutti sospettano che la parte del Pdl guidata da Angelino Alfano e quella del Pd facente capo ad Enrico Letta stiano lavorando nella prospettiva di far rinascere la Dc sotto la nuova veste della sezione italiana del Ppe e di ricreare lo schema del centrosinistra andato avanti dagli anni Sessanta fino all’inizio degli anni Novanta. I diretti interessati, però, negano. Ribadiscono la loro volontà di ritornare non alla Prima Repubblica ma alla normale democrazia dell’alternanza e spiegano che la loro partecipazione e guida di un governo di larghe intese è solo il frutto di un’esigenza superiore contingente.

C’è da fidarsi delle loro assicurazioni? Per cancellare ogni genere di malevolo sospetto il presidente del Consiglio e il suo vicepresidente e ministro dell’Interno non dovrebbero far altro che applicare concretamente la ragione e l’esigenza che giustifica l’interruzione della democrazia dell’alternanza e le larghe intese. Dovrebbero, cioè, varare una serie di misure particolarmente incisive capaci, se non di bloccare la crisi e rilanciare la crescita, di riaccendere nell’opinione pubblica del Paese la speranza di poter uscire dalla fase di recessione-depressione in cui versa ormai da troppo tempo.

La legge di stabilità, così è stata ribattezzata la vecchia finanziaria, avrebbe dovuto contenere queste misure eccezionali giustificando in pieno la necessità dell’anomalia delle larghe intese. In Germania le larghe intese sono sempre servite per varare le riforme che hanno consentito alla società tedesca di resistere al meglio alla crisi internazionale. Ma la montagna dell’interruzione della democrazia dell’alternanza ha partorito il topolino di una legge di stabilità ragionieristica, di piccolo cabotaggio, priva di qualsiasi riforma incisa e zeppa solo di fantasiose nuove tasse destinata ad aumentare la pressione fiscale sugli italiani e a togliere loro anche l’ultimo barlume di speranza.

 Non c’era bisogno di larghe intese per compiere un’operazione del genere. Bastava restare a Mario Monti e alla sua ottusa austerità dalle gravissime conseguenze recessive e depressive. E non c’era bisogno di rinnovare il mandato a Giorgio Napolitano per ritrovarci con una democrazia “protetta e alterata” senza avere in cambio un qualche straccio di riforma. Forse Letta e Alfano non se ne rendono conto. Ma questa ridicola legge di stabilità è la conferma che in primavera si deve tornare al voto!


di Arturo Diaconale