venerdì 27 settembre 2013
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha partecipato ad un convegno dedicato alla riabilitazione storica e politica di Bettino Craxi. Iniziativa lodevole per chi negli anni della Prima Repubblica è stato il capo della corrente “migliorista” del Pci-Pds, quella che appariva la più sensibile alle pressioni craxiane per una evoluzione socialdemocratica dei comunisti italiani.
Ma dove stava il leader dei “miglioristi” quando Craxi veniva eliminato dalla scena politica nazionale dalla cosiddetta rivoluzione giudiziaria? Napolitano ci ha messo vent'anni per compiere un gesto coraggioso teso a cancellare la damnatio memoriae riservata al defunto leader della sinistra riformista italiana. Ma tra vent'anni non potrà partecipare, per evidenti ragioni anagrafiche, ad un identico convegno di riabilitazione e di fine della damnatio memoriae di Silvio Berlusconi. Per cui sarebbe opportuno che questa volta, a differenza di quanto fece in occasione della decapitazione politico-giudiziaria di Craxi, non si nasconda dietro lo schermo di una ipocrita terzietà istituzionale ed affronti apertamente, nella sua qualità di Presidente della Repubblica, una questione che investe non una singola persona ma il sistema democratico del paese.
Il problema che le annunciate dimissioni di massa dei parlamentari del Pdl pone, infatti, non riguarda solo la persona di Silvio Berlusconi ma la stessa sorte della democrazia italiana. Può il nostro paese, dopo aver assistito alla scomparsa della Prima Repubblica per mano di un golpe mediatico-giudiziario, registrare senza conseguenze di sorta la scomparsa della Seconda Repubblica provocata da una riedizione del solito golpe mediatico-giudiziario? Napolitano nega che si possa parlare di golpe e definisce “ inquietante” la minaccia dei parlamentari del Pdl di reagire con le dimissioni a ciò che considerano un colpo di stato.
Ma il Capo dello Stato, in quanto garante dell'unità della Repubblica democratica, non può sfuggire alla domanda se due golpe in vent'anni non siano troppi che proviene da una larghissima parte dell'opinione pubblica italiana . Un interrogativo che non riguarda solo la sorte di un personaggio controverso e neppure dello schieramento politico che rappresenta ma coinvolge la stabilità democratica di un paese che non può subire strappi e violenze destinate ad azzerare sempre e comunque la stessa parte politica rappresentata dallo schieramento contrario alla sinistra massimalista.
La decisione presa dai parlamentari del Pdl indica con estrema chiarezza la loro volontà di impedire che a Silvio Berlusconi venga riservata la stessa sorte di Bettino Craxi. Angelino Alfano, che pure viene considerato il capo delle cosiddetto “colombe”, ha spiegato che di fronte alla riedizione di un golpe mediatico-giudiziario ai danni del proprio leader il partito non ripeterà gli errori dei partiti democratici della Prima Repubblica.
Rimarrà unito e si batterà con la massima energia per difendere Berlusconi, se stesso e l'intera democrazia italiana. Ora Napolitano sa bene che la questione non potrà essere risolta rifugiandosi dietro il formalismo giuridico delle sentenze che “non si discutono ma si rispettano”. Il Capo dello Stato sa che in ballo c'è il futuro democratico del paese che non può permettersi due golpe nel giro di due decenni senza subire danni irreversibili. Ed è consapevole, infine, che l'unico in grado di bloccare la deriva golpista è proprio lui. La salvezza della democrazia italiana è nelle sue mani. L'auspicio è che non rimangano immobili. Come all'epoca dell'esecuzione di Bettino Craxi!
di Arturo Diaconale