venerdì 5 luglio 2013
La “Comunità de L’Opinione”, che ha tenuto ieri il suo primo convegno a Roma, all’Hotel Quirinale, non è un nuovo partito, né intende esserlo. Lo spirito riformatore deve riguardare anche i partiti, che dovrebbero diventare associazioni più leggere, finalizzate a scopi precisi. È un punto di incontro di politici, intellettuali, giornalisti, che intendono introdurre e sostenere, nel dibattito politico italiano, cinque riforme essenziali per la rinascita del nostro Paese: presidenzialismo, federalismo, riduzione e semplificazione del fisco, liberazione del mercato del lavoro e riforma garantista della giustizia. “Al centro si deve porre la sacralità della libertà della persona”, come dichiara Loris Facchinetti in un periodo molto pericoloso in cui lo Stato italiano è entrato “nell’anticamera dell’autoritarismo”.
Perché L’Opinione? Perché, come ricorda il direttore Arturo Diaconale: “Il nostro è il più antico quotidiano politico italiano, nato nel 1847. Ed è sempre stato espressione dei valori di libertà, sin da quando nacque su spinta di Cavour per sostenerne le idee”. Secondo Diaconale non stiamo vivendo solo una recessione economica, o declino, ma una vera “fase di regressione, in cui rischiamo un ritorno al passato. L’economia, il lavoro, sono tornati ai livelli di quarant’anni fa”. Col sistema presidenziale: “avremmo già risolto il problema del mancato rinnovamento della classe dirigente. Probabilmente non avremmo neppure più una questione Berlusconi e la sinistra non avrebbe conosciuto una fase di crisi di leadership”. Il problema è nella stessa Costituzione, rigida e pressoché irriformabile. “È come un burqa”, dice Diaconale: un velo che copre tutti i numerosi problemi di struttura.
Si devono invece liberare le energie del lavoro e riformare il sistema fiscale e sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema. Mentre ora “accettiamo senza neppure un dibattito, senza batter ciglio, l’abolizione del segreto bancario, l’arrivo di un grande fratello fiscale che può guardare dentro alle nostre vite esaminando i nostri conti”. La Corte Costituzione ha bloccato l’abolizione delle province: “C’era da immaginarlo, sono parte della Costituzione. Ma è la mancata riforma ad essere un problema”. Ottimismo o pessimismo? Per Diaconale si deve ripartire da un senso di identità nazionale: “Non nazionalismo, ma sapere chi siamo. Senza identità nazionale, in un mondo globalizzato, saremmo destinati a perdere”. Alessandro Meluzzi è invece totalmente pessimista. Ritiene che lo Stato assistenziale, così come si è configurato nell’ultimo secolo, “è in grado di autoalimentarsi e di riprodursi in una miriade di metastasi. Come il cancro. Ogni intervento, per quanto sembri incisivo, è destinato ad essere insufficiente”. Ad esempio, “ogni riforma diventa impossibile se i posti pubblici non possono essere toccati, se i dipendenti della macchina statale sono inamovibili”.
Non si possono dirigere riforme dal governo, dal momento in cui “ormai l’unico potere forte è la magistratura. Solo un pubblico ministero può riuscire a spostare un semaforo: un sindaco è ormai impotente, tanto più un parlamentare e ancora peggio un ministro”. Non si possono fare grandi riforme economiche se “ogni valore, di qualsiasi cosa si parli, può cambiare. Salvo il valore della moneta”. E quindi? “Dobbiamo fare testimonianza, imbarcarci in un impegno monacale: conservare il valore di idee e conoscenze per un tempo migliore che verrà”, come fecero i monaci cristiani ai tempi delle invasioni barbariche. Secondo Daniele Capezzone, il “dibattito politico attuale è molto inferiore alle esigenze del Paese”. La crisi in corso non può essere letta solo attraverso dati macroeconomici, per altro preoccupanti. Ma anche quelli microeconomici: meno consumi, meno investimenti personali, quasi più nessuno riesce a fare impresa. Per il parlamentare del Pdl è positivo che il “centrodestra sia tornato ad usare le giuste parole d’ordine” di libertà, meno Stato e meno tasse.
Certo ‘a da venì una Thatcher: nel frattempo dobbiamo accontentarci di una politica di piccoli passi. Anche se si deve essere consapevoli che: “Non possiamo più permetterci di aggiustare l’esistente”, dobbiamo “attendere il momento in cui ci sarà uno shock. Ci sarà un momento di rottura con le idee stataliste del passato. Rivediamoci a settembre, per discutere riforme decisive per cambiare il sistema”. Secondo Giovanni Guzzetta, un cambiamento epocale è già in corso, “il maggiore dal 1948”. Secondo il promotore dell’iniziativa popolare per la riforma presidenzialista, “i soldi sono già finiti, ma gli italiani non hanno ancora metabolizzato il lutto per la morte dello Stato-badante”, che sinora ci ha mantenuti e comandati. Soprattutto restano i partiti che sono “il corollario dello Stato badante: i partiti-badanti”. Le risorse umane sono sotto-utilizzate: “È il 4 luglio. Anche noi dobbiamo riconoscere il diritto individuale al perseguimento della felicità”. Davide Giacalone parte con una considerazione in controtendenza rispetto al pessimismo dilagante: “Viviamo in un mondo di gran lunga migliore rispetto a quello in cui siamo nati. Grazie alla globalizzazione”, mentre il nostro Stato non è adeguato, così come l’ideologia che lo sostiene.
“La lotta all’evasione è una guerra contro i poveri. Il problema è semmai la spesa pubblica”, tornando alla metafora dello Stato badante, Giacalone ribalta i termini: “Dobbiamo smettere di pagare le badanti di questo Stato, che ormai è ridotto ad avere il pannolone”. I vecchi partiti avrebbero dovuto rappresentare gli interessi di tutti, ma “io non intendo rappresentare gli interessi di chi campa di spesa pubblica, a carico di altri”. Quanto alla riforma della giustizia e alla garanzia dei diritti individuali, il generale Leonardo Tricarico pone un problema a cui si pensa poco: “Come conciliare diritti individuali e sicurezza collettiva?”. In Italia le leggi in merito non ci sono. Tricarico ricorda di essere stato indagato, su denuncia di un gruppo di intellettuali serbi che lo avevano denunciato per aggressione, a causa della guerra nel Kosovo. Il generale Arpino è anche finito sotto processo, per la stessa guerra. Per aver fatto il suo dovere di servitore dello Stato. Espropriare terre per installazioni militari, chiudere temporaneamente certe rotte aeree per motivi di sicurezza, sono ancora atti scoperti dalla legge. Secondo Tricarico occorre una riforma complessiva “per introdurre chiari principi e limiti alla sicurezza collettiva”. Ma perché abbiamo caos legislativo e sempre meno libertà? Oscar Giannino ritiene che la politica sia ormai “ostaggio di giuristi pubblici e burocrati”. Non eletti, non responsabili, inamovibili.
“È soprattutto questa la causa dell’espansione dello Stato di polizia fiscale, dell’autoritarismo”, quando abbiamo aumenti di tasse occultati anche nei decreti di pubblica amministrazione. Il caso “Dolce & Gabbana” dimostra quanto siamo inadatti a un’economia globale, quando abbiamo “uno Stato che considera ‘evasore’ chi riesce sa competere nel mondo globalizzato”. Da noi, inoltre, “l’austerità non è mai esistita, la spesa pubblica è in continuo aumento. Al massimo rallenta lievemente il ritmo della sua crescita”. Giannino si ripromette che: “Non mi metterò a creare nuovi partitini, ma darò una mano a chi vorrà promuovere le riforme”. Marco Taradash, invece, spiega prima di tutto, perché resta a destra: “Siamo a destra, perché la sinistra è ancora marxista e ha paura della modernità”. Così come Capezzone ritiene che: “È difficile fare politiche liberali dentro il Pdl, ma è impossibile farle fuori o contro il Pdl”. Per Taradash, il grande merito di Berlusconi è quello di “aver spezzato il monopolio culturale della sinistra”. Mentre il grande demerito dei suoi nemici è di “aver attaccato la sua energia, ma non i suoi errori”.
Soprattutto in un ambiente ipocrita in cui “va di moda fingersi vergini, senza neppure mettere in discussione un sistema politico che non funziona più”. Un metodo di riforma? Può essere quello di “affamare la bestia”, levandole le tasse, come sostiene Giacomo Zucco, portavoce nazionale del Tea Party Italia. “Non solo la tassazione è troppo alta, ma è anche immorale. Non solo è immorale, ma è anche insostenibile”. Zucco, dati alla mano, spiega che, per tutti quei servizi tradizionalmente attribuiti alla mano pubblica (difesa, ordine pubblico, giustizia, infrastrutture, sanità, istruzione), lo Stato spende non più del 25% del Pil. Questo è quanto basterebbe e avanzerebbe. Il resto è “uno Stato che si auto-alimenta e mantiene classi privilegiate sempre più vaste”. Il Tea Party ha fatto firmare il “pledge” (promessa) per non alzare le tasse a 10 parlamentari eletti, fra cui Capezzone. L’Opinione è il luogo ideale per battersi in difesa di questi valori? Come ricorda Alfredo Arpaia, presidente della Lidu (Lega Italiana Diritti Umani), Pasquale Villari pubblicò sull’Opinione la prima inchiesta sulla questione meridionale, all’origine di tanti dei nostri problemi attuali. E la pubblicò circa 140 anni fa. L’Opinione è legittima erede di una tradizione di libertà.
di Stefano Magni