L'antagonismo Renzi-Letta

mercoledì 19 giugno 2013


Il problema di Matteo Renzi non è Pier Luigi Bersani ma Enrico Letta. Perché l'obbiettivo del sindaco di Firenze non è di diventare il segretario del Pd ma di usare la carica di segretario del Partito Democratico per candidarsi a Premier in alternativa ed in sostituzione dell'attuale Premier in carica. Posta in questi termini la questione sembra essere uno dei soliti personalismi della politica italiana. In realtà, dietro la competizione personale tra Renzi e Letta che si può anche comporre nel breve periodo come sta avvenendo adesso, c'è una questione politica grande come una casa. E tale questione, a differenza del contrasto da pollaio, non è affatto componibile.

Perché per un verso riguarda il fatto che i due hanno una comune strategia ed una stessa area politica di riferimento. E per l'altro è segnata dalla circostanza del contrasto netto ed inconciliabile tra il sindaco fiorentino e l'attuale inquilino di Palazzo Chigi sul modello di leadership da perseguire. La parte in comune che rende lo scontro irrisolvibile e permanente non dipende dall'identica origine democristiana dei due personaggi. La radice comune esiste ma non incide più di tanto nel conflitto visto che entrambi si considerato “cattolici adulti” e tendono a far dimenticare l'ormai antica provenienza. La parte in comune è quella della linea politica riformista. Che Renzi ha cavalcato con grande abilità ponendosi come il Blair italiano in grado di conquistare consensi non solo dentro l'area della sinistra tradizionale ma anche in quella del centro destra. E che Enrico Letta, formalmente suo malgrado ma sostanzialmente con grande soddisfazione, sta praticando di fatto alla guida di un governo di larghe intese che lo rende inevitabilmente trasversale ai due schieramenti canonici.

Renzi, in sostanza, si propone al paese come il personaggio in grado di realizzare ciò che Letta sta dimostrando di poter già fare adesso con innegabile abilità. E questo dato oggettivo di rende inevitabilmente sovrapponibili. E, quindi, alternativi ed in concorrenza perenne ed inconciliabile. Alla parte comune che divide si aggiunge poi la parte di diversità che accentua la divisione. Renzi ha una visione del partito ed, in generale, dell'attività politica ispirata al modello americano. Usa la carica di sindaco di Firenze per meglio portare avanti la sua campagna “presidenziale” permanente allo scopo di vincere plebiscitariamente le primarie e conquistare la candidatura a Premier. Imita Silvio Berlusconi, che ha introdotto in Italia il modello americano con venti anni di anticipo su di lui. E non a caso viene visto come una sorta di alieno da quella parte del Pd che detesta il cosiddetto berlusconismo, considerato una sorta di attentato alla Costituzione. Enrico Letta, al contrario, ha una visione del partito ed in generale della politica, molto più domestica. Non si pone come leader plebiscitario ma punta a consolidare il proprio ruolo di capo del Governo con un comportamento che ricorda in tutto e per tutto i comportamenti dei leader democristiani del passato.

Quelli che nascondevano la propria ambizione dietro la formula dello “spirito di servizio” e che non avrebbero mai rinunciato alla “forza tranquilla” della democrazia parlamentare in cambio delle avventure, magari esaltanti ma sicuramente rischiose e brucianti, imposte dalla democrazia presidenziale. Per il momento tra i due esiste un patto di non aggressione. Imposto solo dalla comune constatazione che il tempo dello scontro non è ancora maturo. Entrambi, però, sanno che la premiership è una sola e che, presto o tardi, la partita per la sua conquista dentro la sinistra riguarderà solo loro due.


di Arturo Diaconale