La via keynesiana al sottosviluppo

venerdì 14 giugno 2013


A giudicare dall'andamento dei mercati finanziari, i quali hanno ripreso a martellare il nostro Paese, non sembra proprio di intravedere un barlume di luce. Dato che gli stessi mercati anticipano sempre le tendenze economiche, l'impressione è che all'orizzonte non vi siano segnali di una qualche ripresa. E mentre prosegue la moria delle imprese private, portando la disoccupazione a livelli allarmanti, soprattutto a sinistra, ma non solo, si continua a propagandare l'idea aurea, a mio avviso più fasulla dell'ottone, di uno sviluppo da creare esclusivamente dal lato della domanda.

In soldoni, molti dei cervelloni del mainstream keynesiano - assai presenti in modo trasversale nelle maggiori forze politiche - hanno buon gioco a convincere un popolo a corto di nozioni di economia elementare che basti pompare una buona dose di liquidità nel sistema per far crescere automaticamente il Pil. Ovviamente, avendo superato un livello di indebitamento pubblico spaventoso e lungi dal raggiungere il previsto pareggio di bilancio, un simile pompaggio di risorse cartacee si prevede che avvenga attraverso l'azione della Banca centrale europea, la quale dovrebbe magnanimamente stampare nuova moneta. Ciò, nel malaugurato caso venisse realizzato, comporterebbe inevitabilmente un aumento di quella che gli economisti di scuola austriaca defiscono come la tassa dei poveri: l'inflazione. Proprio su questo punto emerge chiara la differenza tra quest'ultimi, a mio avviso gli unici in grado di offrire risposte ragionevoli alla crisi, e la scuola di pensiero che fa capo alle cicale keynesiane.

In sostanza, mentre per costoro per l'appunto la ricchezza si ottiene stimolando la domanda, a parere di celebrati economisti del calibro di Mises e Hayek lo sviluppo deriva essenzialmente dall'azione regolatrice di un processo invisibile che scaturisce essenzialmente dal lato dell'offerta. Così come il capitale per alimentare soprattutto i nuovi investimenti non trae origine dal castello di carte del denaro creato dal nulla -stampa di nuove banconote o aumento della liquidità attraverso il meccanismo della cosiddetta riserva frazionaria delle banche-, bensì esso deriva da quote di risparmio basate sull'eccedenza di ciò che si è realmente prodotto. Sotto questo profilo i keynesiani di tutte le risme sembrano non comprendere che il danaro di carta altro non è che un titolo di credito che qualcuno dovrà prima o poi onorare. Ciò significa che aumentando tout court la massa monetaria, senza che vi sia una corrispondente crescita dell'economia, non si fa altro che accrescere l'indebitamento complessivo del sistema.

D'altro canto, occorre aggiungere, per i politicanti di professione la via keynesiana al sottosviluppo rappresenta una formidabile scorciatoia per continuare ad illudere il popolo, redistribuendo ricchezza sempre più fasulla in cambio di consenso. Non avendo il coraggio di affrontare con serie, quanto impolari politiche di bilancio la drammatica situazione, costoro sperano nel buon cuore di Draghi e della Bce. Ma basta guardare a ciò che sta accadendo in Giappone, laddove l'eccesso di liquidità sta facendo deflaglare la bolla finanziaria, per rendersi conto del rischio che si corre nel voler stimolare la crescita a colpi di stampa.


di Claudio Romiti