A Roma per la riduzione del danno

venerdì 7 giugno 2013


Roma è una città dove giornalmente convivono circa quatto milioni di persone. Due milioni e mezzo è formato da residenti, il restante milione e mezzo è rappresentato da pendolari e da turisti che la mattina faticano ad entrare dentro la cinta urbana e la sera faticano ad uscirne. Il problema principale della città sarebbe, dunque, di assicurare condizioni di vita migliori non solo a quel terzo di abitanti che quotidianamente combatte contro ogni tipo di resistenza prima per invadere e poi defluire dall'Urbe ma anche a quei due terzi dei cittadini che sono costretti a subire le conseguenze dell'invasione mattutina e dell'esodo serale. Ci sono, naturalmente, infiniti altri problemi che gravano su Roma. Ma sono tutte questioni che vanno poste in posizione successiva a quello che può essere considerato come la madre di tutti i problemi.

Come si può affrontare il problema dei problemi? Non ci vogliono solo le capacità tecniche degli amministratori, degli urbanisti, degli architetti, degli ingegneri, dei sociologi e magari, degli psicologi di massa. È necessaria in primo luogo una visione, una concezione, una idea della città, che parta da una presa d'atto della realtà ma che sappia proiettarsi verso il futuro. La realtà è che Roma è tracimata oltre i confini della sua enorme provincia. Ha abbondantemente scavalcato il vecchio limite virtuale del raccordo anulare e si estende, di fatto, da Civitavecchia a San Felice Circeo, da Ostia ai preappennini fino quasi all'Abruzzo. È diventata la grande città metropolitana definita Roma Capitale. Senza, però, non solo averne i poteri e le disponibilità economiche e finanziarie. Ma, soprattutto, senza che i suoi rappresentanti politici siano riusciti a elaborare una visione, una prospettiva ed una missione per una città che non è più quella novecentesca formata da un'area policentrica a cui si aggiungono le periferie racchiuse dentro il raccordo anulare inteso come se fosse le nuove mura aureliane.

Ma che è una megalopoli urbana del terzo millennio a cui è stato dato formalmente lo status adeguato da Roma Capitale pur continuando ad essere obbligata a vivere dentro il busto sempre più ristretto di vecchie concezioni da cui la classe politica romana non riesce a liberarsi. Si sperava che dalla campagna elettorale per il Campidoglio emergesse qualche indicazione su quale dovrebbe essere la nuova visione della città. Ma la speranza è andata delusa. La partita è stata giocata dai protagonisti solo con gli occhi rivolti al passato. Dal sindaco uscente per giustificare il proprio operato, dagli sfidanti per contestarlo chiedendo un cambiamento che però nessuno è riuscito a spiegare in quale direzione dovrebbe andare. In queste condizioni l'unico criterio su cui si potrà giocare la battaglia del ballottaggio tra Alemanno e Marino sembra essere quella dell'appartenenza. Quella indicata apertamente dall'architetto Massimiliano Fuksas che in una intervista ha ammesso di conoscere e di aver ben lavorato con Alemanno e di non conoscere affatto Marino.

Ma poi ha concluso che voterà comunque per Marino in nome della propria antica fede “comunista”. È probabile che chi domenica andrà a votare la farà solo in nome del richiamo della propria foresta. Ma accanto a questo sarebbe opportuno, messe da parte tutte le delusioni e le critiche, introdurre un altro criterio di valutazione e di scelta. Quello della riduzione del danno. Chi potrà fare meno danni tra il sindaco uscente che ora promette discontinuità rispetto agli errori dei cinque anni passati sulla base dell'esperienza maturata e lo sfidante che si è presentato ai romani dicendosi pronto ad ascoltare ma senza avere nulla da dire tranne qualche scontata banalità? Al vecchio metodo montanelliano del “turarsi il naso” va sostituito quello della “riduzione del danno”. Con l'impegno, però, a battersi perché Roma Capitale abbia al più presto una visione ed una missione a cui fare riferimento per il futuro. Per questo voterò Alemanno.


di Arturo Diaconale