mercoledì 22 maggio 2013
Le ultime polemiche polemiche tra Pd e Movimento Cinque stelle, quella tra Matteo Renzi e Beppe Grillo e quella sulla legge anti-movimenti proposta da Zanda e dalla Finocchiaro,costituiscono la prova del nove dell'errore compiuto per due mesi di seguito da Pier Luigi Bersani nel cercare ad ogni costo una intesa con il Movimento Cinque Stelle per dare vita ad un governo monocolore del Pd. Perché se il sindaco di Firenze ironizza sulla pochezza politica dei grillini sostenendo che l'unica questione a cui si appassionano solo le diarie ed i rimborsi e se il comico genovese sollecita gli elettori del Pd a prendere atto che il loro partito è morto, vuol dire che Bersani non aveva capito un ben nulla della natura alternativa ed antagonista delle due forze politiche.
E, soprattutto, continuano a non capire proprio niente quegli esponenti del Pd che, in vista del congresso autunnale del partito, insistono nel considerare possibile ed auspicabile una alleanza con il Movimento Cinque Stelle destinata a provocare la fine delle tanto aborrite larghe intese con il centro destra di Silvio Berlusconi e con il centro di Mario Monti. Quell'alleanza non si può fare. Non perché ci siano dei "bravi" che impongano la mancata celebrazione del matrimonio. Ma perché il Pd ed i Cinque Stelle gravitano nella stessa area politica. E mentre il partito guidato oggi da Guglielmo Epifani si dibatte in una crisi profonda che lo espone al rischio di una possibile frantumazione, quello di Beppe Grillo si rende conto che , persa la spinta iniziale grazie a cui aveva conquistato larghe fette di elettorato non di sinistra, non ha altra possibilità di tenuta e di crescita che quella di dilaniare il Pd e divorarne la parte più ottusamente ed ingenuamente radicale e giacobina. Qualcuno potrebbe pensare che non ci sia nulla di nuovo sotto il sole. Che la competizione tra Pd e Cinque Stelle non sia altro che l'ennesima riedizione dello scontro tra riformisti e massimalisti per l'egemonia della sinistra. E che una volta concluso lo scontro la conquistata egemonia dell'uno o dell'altro schieramento porti naturalmente alla riunificazione dell'intera sinistra.
Ma il tempo delle diverse anime della sinistra divise dalle questioni di potere ma tenute insieme dal comune mastice ideologico è finito da un pezzo. Nessuno è in grado di prevedere se il Pd riuscirà a piegare Cinque Stelle o viceversa. Ciò che è assolutamente certo, però, è che in nessun caso il vincitore riuscirà a ricomporre l'unità della sinistra. Perché se sarà il Pd a frantumare i grillini rimarrà comunque un pezzo di sinistra antagonista anti-sistema ad opporsi al partito egemone. E se sarà Cinque Stelle a fagocitare una fetta del Pd, la fetta restante non potrà non difendere con ogni mezzo la propria autonomia anche a costo di passare dalla larghe intese ad una alleanza organica con il centro destra per fare fronte comune contro il populismo giacobino di Grillo. Una simile prospettiva dovrebbe far riflettere quanti, all'interno del Pd, puntano al congresso d'autunno per far saltare gli attuali equilibri di governo e creare le condizioni o per il ritorno alle urne o per un nuovo tentativo di alleanza con i grillini.
La partita in corso tra Grillo ed i dirigenti democrats non è concorrenza ma scontro mortale. Chi vince non riunifica la sinistra ma ne annette una parte e sancisce la spaccatura definitiva tra quella della democrazia parlamentare e quella che punta alla democrazia diretta. Grillo, che ha capito bene la situazione , è deciso a giocare fino in fondo le sue carte per liquidare il proprio avversario. I dirigenti del Pd contrari alle larghe intese lo debbono ancora capire. Come non capiscono che la mossa di Luigi Zanda e di Anna Finocchiaro con la proposta anti-movimenti non punta solo a mettere fuori gioco Grillo ma è diretta, in realtà, a mettere fuori gioco in vista del congresso proprio loro.
di Arturo Diaconale