venerdì 10 maggio 2013
È stata una uscita di scena decisamente mesta quella che è toccata, dopo anni ed anni passati da protagonista, a Gianfranco Fini. L'Assemblea Nazionale di Futuro e Libertà non si è limitata ad accettare le dimissioni del proprio leader, ma ha rilevato che la sconfitta elettorale di Fli è dipesa dalla mancanza di «capacità politica» e ha dato mandato al coordinatore nazionale Roberto Menia di avviare un dialogo con tutti i soggetti interessati ad avviare una nuova fase costituente della destra italiana. Futuro e Libertà, in pratica, ha condannato in maniera inappellabile Gianfranco Fini alla uscita dalla politica per palese incapacità.
E, soprattutto, ha deciso di invertire radicalmente la rotta che l'ex Presidente della Camera aveva perseguito prima delle elezioni collocando il partito fuori dalla sua area tradizionale. Da adesso in poi, liberatosi dai condizionamenti personalistici del suo ex padre-padrone, Futuro e Libertà tornerà ad essere una componente della destra italiana collaborando agli sforzi in atto per porre fine alla sua diaspora. La decisione dell'Assemblea Nazionale di Fli è sicuramente positiva. Ma rischia di essere tardiva. Perché, grazie soprattutto ai personalismi funambolici di Fini ed alla singolare passività con cui il gruppo dirigente di Fli li ha subiti, la destra si è frantumata in mille pezzi. Alcuni dei quali si sono lasciati fagocitare dal Pdl, altri hanno tentato di recuperare un minimo di autonomia , come nel caso di Fratelli d'Italia, ed altri ancora si sono polverizzati in tanti gruppi troppo ridotti per poter esercitare un qualche ruolo politico di rilievo.
In queste condizioni il progetto di una costituente di destra capace di ricostruire, magari con un nome diverso, la vecchia Alleanza Nazionale, appare estremamente difficile da realizzare. Non solo perché non è facile ricomporre divisioni che proprio la polverizzazione in micro-gruppi tende ad esaltare piuttosto che a ridurre e comporre. Ma perché il semplice ritorno al passato con condizioni politiche del tutto nuove appare una operazione destinata ad avere scarso respiro. Ricreare Alleanza Nazionale, sempre che l'impresa possa riuscire superando a fatica i rancori accumulati in tanti anni, può essere un progetto che può accontentare una vecchia guardia alla ricerca di una collocazione e di una sicurezza perse nel passato recente e più remoto. Ma quale attrattiva può avere nei confronti delle giovani generazioni e, soprattutto, in quella parte di elettorato del centro destra che deluso dai suoi leader si è rivolto in disperazione all'astensione o alla protesta sterile di Grillo? Per i tanti soggetti della diaspora di destra, in sostanza, è molto alto il rischio di non riuscire nell'impresa del ritorno al passato o, peggio, di dare vita ad un mini-partito destinato ad rinchiudersi nel ghetto di una opposizione di sistema per recuperare la propria vecchia identità.
Serve un progetto nuovo, che tenga conto con realismo delle particolari condizioni politiche del momento, e che sia l'espressione di una visione più aperta e più ampia del ruolo di uno schieramento votato naturalmente alla responsabilità di guidare il paese. Il problema, allora, non è quello di ritrovare l'antica identità per ricreare il vecchio ma di elaborare una identità nuova che sappia tenere insieme uno schieramento ampio ed articolato capace di rappresentare i valori della libertà, dell'interesse nazionale e della prospettiva di una Unione Europea più politica e più democratica. Uno schieramento che sappia tenere in campo e partecipare da protagonista alla democrazia dell'alternanza, quella che seguirà naturalmente la fase della consociazione emergenziale, anche quando i leader attuali saranno tramontati. Più che un partito vecchio, quindi, c'è da dare vita ad un rassemblement nuovo.
di Arturo Diaconale