La precarietà imposta dalle due sinistre

martedì 23 aprile 2013


Nessuno si illuda che la rielezione per disperazione di Giorgio Napolitano risolva d'incanto la paralisi in cui versa la politica nazionale. Nel Partito Democratico, che è la causa principale di questa paralisi, la “guerra continua”. L'armistizio tra le correnti, che ha portato alla formula disperata della rielezione, non è in grado di reggere l'impatto con le trattative per la formazione del governo indicato dal Presidente della Repubblica. Per cui è facile prevedere che la battaglia pre-congressuale apertasi nel Pd durante le votazioni per l'elezione del Capo dello Stato tornerà a riaccendersi nei prossimi giorni rendendo inevitabilmente precaria qualsiasi soluzione verrà trovata al problema della formazione del nuovo esecutivo. Chi pensa ad un governo di larghe intese sul modello tedesco, cioè un governo fondato su un accordo politico solido tra il blocco del centro destra e quello del centro sinistra, s'illude pericolosamente.

Le intese non possono essere né larghe, né solide. E non perché non ci sia la necessità di raggiungere un obbiettivo del genere ma solo perché non esistono le condizioni. Pdl, Lega e Scelta Civica fanno il loro lavoro incalzando il Pd con la richiesta di una intesa per un governo di lunga durata capace di realizzare le riforme grandi e piccole necessarie alla ripresa del paese. Ma è chiaro che la loro richiesta è destinata a non avere una risposta adeguata. Fino a quando la fase pre-congressuale e congressuale del Pd non sarà terminata ed il maggiore partito della sinistra non avrà risolto i propri problemi interni, i suoi dirigenti non saranno in grado di assumere impegni di lunga o media portata. Potranno solo concordare intese di breve durata evitando accuratamente di affrontare questioni destinate a riaccendere e condizionare la battaglia interna. La prospettiva più realistica, quindi, è che tutti i nuovi sforzi di Napolitano potranno favorire al massimo la nascita di un governo in grado solo di affrontare i temi economici della più immediata emergenza e destinato a rinviare a data da destinarsi tutti i nodi delle grandi riforme. Come dire che dopo essere stato cacciato dalla porta il pericolo di elezioni anticipate rientrerà dalla finestra spostando la data del ritorno al voto del tempo necessario per affrontare le esigenze più immediate.

Cioè sei mesi o, più probabilmente, un anno, con elezioni o nel prossimo autunno o nella primavera del prossimo anno in abbinamento con le elezioni europee. C'è una sola possibilità in grado di evitare una prospettiva del genere. Ed è quella del chiarimento interno del Partito Democratico. Fino a quando le fasi pre-congressuale e congressuale non si saranno esaurite, la precarietà del governo e della politica continuerà a dominare nel paese. Perché le divisioni interne impediscono ad un Pd intenzionato a mantenere la propria unità di compiere quelle scelte impegnative sui grandi temi d'interesse nazionale che potrebbero provocarne la dissoluzione. In estrema sintesi, quindi, l'unica possibilità di impedire che allo stallo subentri la precarietà e la eventualità del ritorno alle urne in tempi brevi consiste nella scissione a breve del Pd.

Cioè nella separazione netta tra le componenti che intendono farsi carico non solo dell'emergenza di governo e delle grandi riforme da realizzare al più presto ma anche della difesa della democrazia rappresentativa e quelle che non rinunciano al progetto di trasformare il Pd nel partito di una grande sinistra radicale, anticapitalistica e , soprattutto, decisa ad archiviare la democrazia rappresentativa sostituendola con un modello di democrazia diretta ancora tutto da definire. Una volta si sarebbe parlato di separazione tra riformisti e massimalisti, tra socialdemocratici o liberalsocialisti e comunisti di varia fazione. Adesso , più correttamente ed alla luce del superamento delle vecchie categorie, bisognerebbe parlare di sinistra realista e sinistra paranoica. Ed auspicare che la separazione tra queste componenti avvenga il più presto possibile.


di Arturo Diaconale