martedì 19 marzo 2013
La colpa è tutta di Matteo Renzi. È il sindaco di Firenze, con la sua dichiarata intenzione di conquistare al più presto la leadership del Partito Democratico, ad aver fatto scattare una vera e propria ossessione in Pierluigi Bersani e nel suo gruppo di fedelissimi (i cosiddetti “giovani turchi”). È per fermare il pericolo-Renzi, infatti, che Bersani ha deciso di puntare ad ogni costo alle elezioni anticipate a giugno bruciando ogni altra possibilità di far nascere un governo in grado di andare avanti nella legislatura almeno per il tempo necessario ad approvare una nuova legge elettorale. L'elezione di Laura Boldini a Presidente della Camera, fatta dal Pd in totale solitudine e senza il sostegno di alcuna altra forza politica, è stato l'avvio della strategia dello sfascio decisa da Bersani per esorcizzare il fantasma ossessionante del proprio concorrente.
Quella di Pietro Grasso al Senato è stata la conferma definitiva che il segretario del Pd si propone a parole di guidare un governo con il sostegno di qualche eventuale scissionista del movimento di Beppe Grillo ma conta nei fatti di poter andare alle elezioni anticipate alla fine di giugno. Con il voto a breve, infatti, Bersani può evitare per mancanza di tempo di misurarsi in nuove e più pericolose primarie con il nemico-Renzi e può sperare di recuperare una fetta di consensi nel bacino elettorale dei grillini in grado di consentirgli di conquistare la maggioranza alla Camera ed al Senato grazie alla conservazione del tanto aborrito ma tanto utile Porcellum. Può sembrare strano, o addirittura osceno, che l'interesse e l'ambizione personale di un solo uomo possano decidere le sorti di un paese che avrebbe bisogno non di nuove elezioni ma di una fase, sia pur breve, di stabilità per aiutare i cittadini a superare la gravissima crisi in atto.
Ma a dare una parvenza di giustificazione all'ossessione renziana di Bersani c'è la considerazione che al momento, al di fuori delle elezioni anticipate a giugno, non sembrano esserci percorsi alternativi a quello su cui si è incamminato con tanta determinazione il segretario del Pd. Chi spera che la parlamentarizzazione accelerata dei grillini possa produrre le spaccature necessarie per favorire soluzioni alternative al governo di minoranza proposto da Bersani s'illude. Laura Boldini, benché ideologicamente vicina ai tanti terzomondisti del M5S non ha preso un voto dai grillini. E sulla candidatura di Pietro Grasso , magistrato ed icona dell'antimafia contrapposto a Schifani, cioè all'oggetto di continue campagne diffamatorie all'insegna dell'accusa di mafioso, i voti dei grillini con il mal di pancia sono stati decisamente minori di quanto era possibile prevedere. Bersani, quindi, non potrà contare sui voti del M5S. Al tempo stesso la netta chiusura del Pd ai centristi di Monti ed al Pdl esclude ogni altra ipotesi di possibile soluzione della crisi: né quella del governo istituzionale, né quella di un governo di larghe intese. Forte di questa azione di desertificazione Bersani è convinto di poter ottenere dal Capo dello Stato un mandato pieno per un governo di minoranza.
E pensa di chiudere il cerchio dell'operazione volta alle elezioni anticipate in funzione anti- Renzi eleggendo con i propri soli voti un nuovo Presidente della Repubblica disposto ad aiutarlo sciogliendo le Camere all'indomani del proprio insediamento al Quirinale. L'unica speranza di poter evitare che la forsennatezza ossessiva di uno solo provochi danni per tutti è, al momento, riposta su Giorgio Napolitano. Che può decidere di non dare l'incarico a Bersani e puntare immediatamente sul difficile tentativo del governo del Presidente. Ma accanto a quella di Napolitano una seconda speranza, sia pure molto ridotta, esiste ed è rappresentata da quei 13 deputati del Pd che nel segreto dell'urna non hanno votato per la Boldrini in dissenso con le indicazioni del segretario. In fondo bastano loro a mandare in fumo le pretese di Bersani. Purché abbiano il coraggio di uscire allo scoperto !
di Arturo Diaconale