Un “piano B” per andare in Barca

venerdì 8 marzo 2013


Non è vero che i dirigenti del Pd non abbiano un “ piano B” da far scattare nel caso, dato per scontato, che Giorgio Napolitano dia l'incarico di esplorare la possibilità di formare un governo a Pierluigi Bersani e quest'ultimo bisca la sconda e definitiva sconfitta nell'arco di un solo mese. Il “ piano B” esiste . E se i dirigenti del Pd non lo hanno tirato fuori nel corso della riunione di direzione conclusasi con un ipocrita voto unanime ad una linea considerata da tutti perdente in partenza, è solo per indebolire più di quanto non sia Bersani nei confronti del Capo dello Stato e delle altre forze politiche.

E' chiaro, infatti, che se in direzione qualcuno avesse incominciato a parlare dell'ipotesi di un governo diverso da quello con i grillini indicato da Bersani, quest'ultimo avrebbe dovuto necessariamente chiudere la riunione non incassando una unanimità fittizia ma rassegnando le dimissioni e tornando di corsa a Bettola. La strada scelta, secondo una tradizione che viene direttamente dal Comitato Centrale del Pci, è stata di non far ricadere sul partito la responsabilità del fallimento del segretario, lasciare che il suo tentativo di formare il governo muoia di morte naturale e di riservare al gruppo dirigente , ad esequie dell'esplorazione celebrate, la possibilità di lanciare una proposta alternativa a quella bersaniana per la soluzione della crisi di governo. Il “ piano B” , genialata dei cosiddetti “ giovani turchi” che come le vecchie mummie hanno il problema di tutelare se stessi , prevede la formazione di un governo tecnico-istituzionale sorretto dall'esterno dalle forze politiche responsabili , con il compito di affrontare l'emergenza economica e sociale , favorire la riforma della legge elettorale e portare il paese alle urne nel giro di un anno o due.

Sulla carta non sembra una trovata particolarmente brillante . Semmai una soluzione obbligata nel caso l'esploratore venga mangiato dai selvaggi del Movimento Cinque Stelle. La trovata dei “ giovani turchi” è tutta nel nome del possibile responsabile di un esecutivo del genere. Quello di Fabrizio Barca, attuale ministro per lo Sviluppo Economico . Il quale in un colpo solo diventerebbe non solo Presidente del Consiglio ma anche il candidato alla successione a Bersani al prossimo congresso e lo sfidante della nomenklatura Pd a Matteo Renzi per la candidatura a premier alle primarie delle prossime elezioni anticipate. Non stupisce , allora, che Renzi non abbia preso la parola in occasione della riunione di direzione. Il sindaco di Firenze ha fiutato l'aria infida, sa bene che ai “ giovani turchi” non interessa il governo del paese ma il controllo del partito e la difesa delle proprie posizioni contro gli alieni “ renziani”.

E non può fare a meno di prepararsi ad una battaglia interna che si preannuncia lunga e senza esclusione di colpi. Quanto a Barca, il ministro figlio del responsabile economico del Pci dei tempi di Berlinguer , tace ed acconsente. L'idea di fare il Presidente del Consiglio per poter diventare successivamente segretario del partito e diventare il campione della nomenklatura contro Renzi non può non affascinarlo. Peccato, però, che mentre i dirigenti del Pd si baloccano con i giochi interni tra esploratori votati al pentolone dei selvaggi e futuri segretari che studiano da leader, il paese corre verso il baratro . E non per colpa di Beppe Grillo come vorrebbe far credere Bersani o dei guai giudiziari di Berlusconi come lascia intendere D'Alema. Ma solo e soltanto della pretesa dei post-comunisti di non riconoscere che la crisi del paese dipende dalla loro crisi.


di Arturo Diaconale