Bersani e la liturgia dell'amaro calice

giovedì 7 marzo 2013


Il rito prevede che Pierluigi Bersani beva l'amaro calice fino all'ultima goccia. E nel Pd, dove si sono persi i valori di una volta ma rimane intatta la liturgia della tradizione comunista, nessuno si sogna di fermare il rito. Per cui Bersani si recherà dal Capo dello Stato con il consenso formale del proprio partito a compiere la prima mossa per la formazione del governo e riceverà da Giorgio Napolitano, che conosce alla perfezione le liturgie un po' sadiche della storia da cui proviene, l'incarico esplorativo di dare vita ad un nuovo esecutivo fondato sulla speranza di un appoggio esterno al Pd da parte del Movimento di Beppe Grillo. Quanti esponenti della direzione che ha autorizzato Bersani a compiere la prima mossa credono che il segretario possa avere una qualche possibilità di portare a termine la propria impresa? Nessuno. E c'è da immaginare che neppure Bersani creda sul serio all'ipotesi di finire l'esplorazione entrando a Palazzo Chigi. Ma anche lui sa bene che la liturgia deve andare avanti fino alla fine. E non può sfuggire al rito che deve sancire definitivamente la sua sconfitta e la sua uscita di scena dal vertice del Partito Democratico.

La liturgia che chiude la carriera politica di Bersani, l'uomo che voleva farsi primo Presidente del Consiglio post-comunista espresso dalle elezioni e non dalle manovre di Palazzo e che non è riuscito nel suo intento, è decisamente crudele. Ma per la ritualità interna del Pd assolutamente necessaria a cambiare pagina ed avviare una nuova fase all'interno del partito. Quella che porterà Matteo Renzi alla segreteria ed alla candidatura a premier nelle prossime elezioni? Può essere. Ma nessuno s'illuda che il percorso sia già segnato e sgombro di ostacoli di sorta. Al contrario, la giubilazione di Bersani apre una fase di grandi contrasti e discussioni da cui il Pd potrebbe uscire non con un nuovo leader ma con le ossa rotte e una probabile frantumazione. Serve questa liturgia per arrivare tra quindici giorni a stabilire ciò che Beppe Grillo, nella sua brutale chiarezza, ha già indicato all'indomani delle elezioni definendo Bersani un “morto che cammina”? Al paese non di certo.

In un momento in cui servirebbero decisioni rapide, scelte nette, iniziative concrete ed immediate per frenare gli effetti perversi della crisi sulla stragrande maggioranza della società nazione, si torna incredibilmente ai riti bizantini della Prima Repubblica, agli incarichi esplorativi che servono solo a perdere tempo, alla lunghe ed estenuanti riunioni di direzione dove si consumano liturgie di altri temi, ai balletti di consultazioni che si rincorrono tra di loro e che hanno come unico scopo quello di allungare all'infinito le procedute, alle trattative sottobanco tra forze politiche che ufficialmente non si parlano, alla compravendita di parlamentari che se viene fatta da Berlusconi è corruzione ma se effettuata da Prodi con i senatori a vita è salvaguardia della democrazia. Chi ha lavorato per tornare alla Prima Repubblica, da Casini a D'Alema, è servito.

Da oggi in poi avremo un mese di questa ottusa tarantella che servirà solo a rafforzare l'intimazione di Grillo all'intera classe politica tradizionale ad “arrendersi” a nuovo che l'ha circondata e che intende spazzarla via. Nel dramma, comunque, un barlume di luce non manca. Ed è la speranza che di fronte ad uno spettacolo ed una prospettiva del genere anche i più ottusi e riottosi avversari della riforma istituzionale sul modello francese del semipresidenzialismo e del doppio turno possano aprire gli occhi e convincersi che l'antipolitica si combatte solo con la buona politica. Cioè con un accordo per una legislatura breve ma costituente tra le forze politiche più responsabili.


di Arturo Diaconale