La maledizione del “fattore C”

venerdì 1 marzo 2013


Da qualche parte si legge (ad esempio sulla "Stampa" con un lucido Ricolfi) che le affermazioni elettorali del Pd, da decenni, sono uguali alle (non)vittorie: sia che vinca o che perda, la sinistra ottiene vittorie o sconfitte soltanto per il fattore fortuna. Una volta si diceva che il Pci non vinceva per colpa del fattore K, perché stava dalle parte dell’Urss. Ora, invece, si dice che se vince è in virtù del “fattore c”. Ovverosia che, anche questa volta, come altre, il Pd di Bersani, piuttosto che di Prodi o D'Alema o Veltroni, taglia per primo il traguardo perché troppo fortunato e non per i propri meriti. Non per una proposta di rinnovamento ma con una modesta offerta da status quo in funzione delle debolezze,anche giudiziarie, altrui. Non solo, ma anche fruendo sia della debolezza di governance di un Cav - che è invece assai scarso nel governare i suoi successi -sia, soprattutto, per una pazzesca legge elettorale che, non dissimile da quella fascista di Acerbo, consente al partito che ha preso il 29 e rotti per cento, nemmeno un terzo del voto degli italiani, di ottenere un premio di maggioranza stratosferico, ai limiti se non oltre la costituzionalità.

In realtà questo improprio “fattore c”, andrebbe scritto cone la “C” maiuscola, dove “C” sta per Craxi. È infatti vero che ci vuole un sacco di fortuna per una sinistra come la nostra a vincere tre volte in venti anni. Ma,se guardiamo bene, la sua vera, grande fortuna fu quella di essere stati miracolata nel 92-93 dalle toghe amiche che, per contro, annientarono il Psi craxiano e tutti gli altri, consentendogli di restare l'unico partito in piedi, il che bastò e avanzò. Anzi lo convinse a non fare nessuna autocritica sul proprio passato di marcerie “comuniste” e soprattutto, dal non fare i conti con il socialismo elaborato da Craxi, ormai esiliato e demonizzato. Nell'ultima avventura elettorale ancora la fortuna sembrava arridere al Pd, che aveva davanti un'autostrada purché avesse affidato la sua vettura non alla nomenclatura del vecchio ex Pci ma al giovane blairiano e innovatore Renzi.È proprio in questa vicenda delle primarie che si annidava l'abbaglio bersaniano o meglio, l'errore di fondo, che è essenzialmente politico.

L'errore cioè di avere avuto paura non solo di Renzi come giovane rottamattore non ancora quarantenne - figlio più della tv che del partito -ma del suo progetto politico che richiamava per grandi linee il socialismo liberale di Tony Blair che aveva a sua volta aggiornato gli stessi temi liberalsocialisti di Bettino Craxi. Senza tuttavia mai pronunciare quel nome (anche i Renzi hanno le loro paure opportunistiche), il competitor di Bersani portava avanti un programma che evocava le grandi tematiche craxiane poi incarnate da Blair: privilegiare la linea dei meriti e dei bisogni, apertura ai giovani, alle start-up,al web, ai mercati (vi ricordate come fu “pestato” per il suo incontro con il finanziere della Cayman?), rottura col passato, rinnovamento dei quadri, rottamazione dell'establishment del vecchio Pci, progettualità appassionata per una narrazione in chiave neoliberalsocialista, respingente il consociativismo ma rispettosa dell'avversario Berlusconi, ecc.

A tutte queste novità dissero di no gli amici di Bersani, dissero cioè no al Renzi portatore di un disegno politico di vera rottura col loro passato, esattamente come fece il Craxi degli anni 80 nei confronti dell'intera sinistra condizonata da Berlinguer. Ci sarerbbero, ovviamente, altri fattori da mettere in campo. Ma è davvero emblematico che da quando è stato rifiutato il modello liberalsocialista, da quando cioè la sinistra italiana - lo ricorda spesso il migliorista Macaluso, che fu con Napolitano il propugnatore di una svolta socialdemocratica tout court del vecchio Pci - ha respinto l'idea di fare i contri col socialismo craxiano rifiutando l'approdo convinto alla socialdemocrazia e rimanendo né carne né pesce, ex Pci ed ex Dc di sinistra, ebbene da allora vince perdendo e perde vincendo. Che sia la maledizione del “fattore C”. Come Craxi.


di Paolo Pillitteri