Siena è solo la punta dell’iceberg

mercoledì 30 gennaio 2013


Sul caso Monte dei Paschi di Siena c’è stato, nel corso di una recente puntata di Porta a Porta, un duro confronto tra Oscar Giannino e il responsabile economico del Pd, Stefano Fassina. E mentre il primo, mettendo il dito sulla piaga, ha sostenuto l’esigenza prioritaria di far uscire la politica dalle banche italiane, il sinistro braccio destro di Bersani ha invece ribadito la sua difesa ad oltranza della presenza dei partiti dentro le fondazioni che contrallano i medesimi istituti finanziari. In sostanza, Fassina ritiene che la permanenza della politica nelle banche rappresenti una maggiore garanzia nei confronti del popolo dei correntisti e degli azionisti. Coerentemente col suo credo collettivista, egli pensa che pure nel mondo finanziario la mano pubblica debba assumere un ruolo di primo piano, al servizio di un sistema in cui tutto dovrebbe passare per un atto deliberato della sfera politico-burocratica. Eppure l’impressionante vicenda di Mps dimostra esattamente il contrario. Ovvero, laddove entrano i professionisti della politica, la cui unica specialità è quella di spendere malamente i soldi degli altri, il dissesto nei bilanci rappresenta una regola. 

In pratica, al pari di tanti carrozzoni pubblici, anche Mps non deve rispondere agli azionisti, dato che la fondazione controllata dal Pd detiene ancora oltre metà del pacchetto azionario, ma solo ed esclusivamente al partito di riferimento. Ed è su questa base che poi si orientano le scelte di una banca che a Siena, da sempre feudo di una sinistra camaleontica, ha costituito un formidabile strumento di consenso. E quando ciò accade le scelte aziendali di un istituto di credito vengono inevitabilmente piegate agli interessi di bottega del suo vero azionista di controllo: il partito politico. Ovviamente, come molti osservatori liberali sostengono da tempo, Mps rappresenta solo la punta di un iceberg sistemico in cui la presenza della citata politica tende a distorcere notevolmente il mercato del credito. Sotto questo profilo ha perfettamente ragione Giannino quando sostiene che la stessa politica dovrebbe uscire da ogni forma di gestione bancaria, limitandosi esclusivamente a svolgere il ruolo di regolatore. 

Solo che Fassina, nato e cresciuto nel mito dello stato leviatano, sembra terrorizzato a lasciare che le banche si muovano, seppur all’interno di norme stringenti, su un mercato senza i lacciuoli di partiti che gli impongano scelte e nomine. Eredi di una antica pratica spartitoria e lottizzatrice, i compagni del Pd vorrebbero evidentemente continuare a mettere le loro bandierine sul maggior numero di enti e società del cosiddetto sottogoverno italico. Poveri noi.


di Claudio Romiti