L’ex impiegato Mps che negli anni ‘90...

sabato 26 gennaio 2013


I problemi del  Montepaschi cominciarono con la pessima legge Amato che privatizzava e accorpava le banche di interesse nazionale. 

C’era qualcuno che lo ha sempre saputo, sostenuto e urlato a tutti gli azionisti, qualcuno che si chiamava Mauro Aurigi. E che nei propri indimenticabili interventi in assemblea, l’ultimo è dell’ottobre 2012 ed è riportato sul sito del Movimento 5 stelle di Siena, esordiva sempre così: «Mi chiamo Mauro Aurigi. Ho passato 42 dei miei 74 anni al Monte, tra il 1957 e il 1999. Sono soprattutto gli anni della costruzione del Grande Monte banca pubblica, ricca, stimata e potente che nel recentissimo passato tutti abbiamo conosciuto. Una costruzione corale senza geni d’impresa o di finanza e soprattutto una costruzione silenziosa, schiva dei clamori che invece l’hanno subito caratterizzata non appena privatizzata. La piccola città di Siena, isolata fisicamente e culturalmente da tutto il mondo che conta, con le sue sole forze aveva compiuto un’impresa che probabilmente non ha eguali: la sua banca era una delle più grandi d’Italia, la più solida tra le grandi banche europee, quella con la massima valutazione da parte delle agenzie anglo-sassoni. Di quell’incredibile cinquantennio postbellico io sono stato testimone e, oserei dire, modestissimo protagonista, anche se protagonista non è il termine giusto, perché in mezzo millennio di protagonisti il Monte non ne aveva mai avuti fino a Mussari. E s’è visto come è andata a finire».

La teoria di Aurigi è semplice: la privatizzazione ha consegnato una banca che prima era dei cittadini senesi alla fondazione che è sempre stata controllata dal Pds, poi dai Ds e infine dal Pd. Quando nel 2003 scoppiò la prima grana, quella della perdita di tutta la liquidità che prima la banca aveva in eccesso, oltre 2500 miliardi, a causa del pessimo affare della compravendita della Banca del Salento, la famigerata Banca 121, proprio uomini vicini ad Aurigi e al suo  movimento cittadino tappezzarono Siena con volantini di questo tenore: “D’Alema a Siena è persona non grata”. Uno smacco, quasi un oltraggio che fece parlare, anzi sparlare, tutti i bravi cittadini senesi per mesi. 

Da abile funzionario bancario, Aurigi aveva subito capito chi fosse Mussari, che veniva considerato l’artefice della distruzione della banca come patrimonio dei senesi. Ed era il bersaglio prediletto di tutte le intemerate che faceva nelle assemblee degli azionisti. Una sorta di “proto Grillo” locale. Che avevano tentato di far tacere in tutte le maniere. Anche dandogli del fascista, che in una città rossa come quella senese è sempre un insulto che fa impressione. Da qualche tempo però la città famosa per la battaglia di Montaperti e per il Palio si è dovuta ricredere: Aurigi aveva proprio ragione e le sue invettive contro i sindaci senesi che si sono succeduti dalla fine degli anni ’90 a oggi adesso le persone se le vanno a ristudiare su internet o sulle vecchie collezioni del giornale locale, il Cittadino. Come la lettura ragionata del bilancio 2003 con la quale per la prima volta denunciò la possibilità di una vera e propria bancarotta. O “banca rossa fraudolenta”, per usare l’ottimo titolo del Giornale di ieri. Per anni l’establishment locale ha cercato di dipingere Aurigi come una sorta di “scemo del villaggio” o come un ex impiegato frustrato e rancoroso. Invece semplicemente aveva ragione. Sapeva che i dirigenti, che avevano già dissipato 2500 miliardi comprandosi una banca “sòla” come la 121, avrebbero finito per portare il Monte alla rovina. Allora in città gli davano tutti della Cassandra, sperando che lo fosse davvero. Oggi, troppo tardi, i senesi hanno aperto gli occhi. Anche perchè lui terminava tutti i propri interventi nelle assemblee del Mps dicendo che «alla fine questa situazione è colpa dei cittadini che non trovano la forza di ribellarsi». Parole sante. Con il senno di poi.


di Dimitri Buffa