giovedì 10 gennaio 2013
«Le stanze in cui si svolge la vita dei detenuti devono essere sufficientemente spaziose e illuminate da luce naturale o artificiale per consentire lavoro e gioco, ventilate o riscaldate quando le condizioni lo richiedono e attrezzate con servizi sanitari privati, di tipo discreto e razionale. Tali servizi devono essere mantenuti e puliti correttamente. I locali in cui i detenuti trascorrono la notte sono celle singole o collettive. Particolare attenzione deve porsi nella la scelta di coloro che sono collocati in celle condivise».
Per l’Europa, che martedì con una “sentenza pilota” ha condannato l’Italia a risarcire con circa 100mila euro tutti gli ex detenuti (principalmente stranieri) ricorrenti contro la situazione di degrado e inciviltà che da anni caratterizza i penitenziari italiani, gli standard cui il nostro paese dovrebbe uniformarsi sono questi. Roba da fantascienza per un paese fondamentalmente sciatto e menefreghista, che irride le lotte non violente di Marco Pannella e dei radicali italiani e transnazionali per la giustizia e per l’amnistia. Vocaboli che invece connoteranno le liste radicali alle prossime elezioni politiche e regionali di fine febbraio.
Ma questa Italia giustizialista che ha sabotato persino un timido tentativo legislativo, quello della ex ministra di Giustizia, Paola Severino, per la depenalizzazione di alcuni reati e per l’affidamento in prova di poche decine di detenuti, consegnando agli annali della Camera dei deputati orazioni da quinta elementare, avranno presto motivo di ricredersi per motivi di bilancio. Visto che dei diritti umani in genere e di quelli dei detenuti in particolare sembra importare loro un po’ meno di niente.
Se stavolta infatti l’Italia, pregiudicato numero uno d’Europa in materia di diritti umani nelle patrie galere e di malfunzionamento della giustizia, tanto che se oggi dovesse girarsi un altro film come Fuga di mezzanotte varrebbe la pena ambientarlo a Regina Coeli invece che in Turchia, se l’è cavata con 100mila euro circa da dividersi per i sette ricorrenti (tre dei quali si sono difesi da soli, ndr) e cioè Fermo-Mino Torreggiani, Bazoumana Bamba, Raoul Riccardo Biondi, Afrim Sela, Tarcisio Ghisoni, Mohamed El Haili e Radouane Hajjoubi, la prossima volta, che non tarderà molto a venire, la Corte europea dei diritti dell’uomo procederà a irrogare pene esemplari all’imputato Italia. Ad esempio da centomila euro o anche più a testa da risarcire ai singoli detenuti. Siccome pendono già 550 ricorsi in fase esecutiva, cui ne andrebbero aggiunti oltre seimila in fase iniziale, è facile capire che si rischia una nuova tassa per coprire un buco a bilancio che potrebbe anche superare i trecento milioni di euro. Insomma la demagogia delle forze manettare d’Italia rischia di essere pagata due volte dal cittadino: la prima in termini di insicurezza e di inciviltà, dato che chi viene recluso in queste condizioni di solito moltiplica il proprio tasso di recidiva, e la seconda come esborso a carico del contribuente.
D’altronde da noi è tradizione indelebile della politica all’italiana quella di fare ripagare le miopi scelte di governo, e soprattutto quelle che maturano in campagne elettorali da film dell’orrore come quella in corso, all’anello debole della catena istituzionale: il cittadino contribuente. La battaglia di Pannella per l’amnistia e la giustizia, che ora è diventata anche il simbolo di una lista, è quindi esattamente tutto il contrario di, come osa dire la Severino, «una campagna elettorale sulla pelle dei detenuti». È invece un potente campanello di allarme su quello che ci aspetta se continuiamo a dare retta a politici pavidi e opportunisti come quelli visti in questo esecutivo bluff dei tecnici o a demagoghi cialtroni e urlanti come quelli eletti in questa stramaledetta tredicesima legislatura.
di Dimitri Buffa