Lettera aperta a Silvio Berlusconi

sabato 5 gennaio 2013


Egregio Presidente, debbo premettere che questa “lettera aperta” è tale fino ad un certo punto. Le lettere aperte, benché proclamate come indirizzate a qualcuno, sono, in realtà, indirizzate solo al pubblico. Dei destinatari apparenti ci si preoccupa, al più, per le reazioni che avranno non alla lettera, ma al modo in cui il pubblico la accetterà. Questa lettera, mi creda, vorrei proprio che la leggesse, ed, in fondo, solo ciò mi importa e vorrei poterla inviare riservata. Ma so bene che i parlamentari della Seconda Repubblica, oltre a non rispondere alle lettere, manco le leggono. Per farla giungere a Lei, quindi, non mi resta che sperare che ne abbia sentore, magari, attraverso una rassegna stampa.

Una volta ebbi occasione di dirLe (certo lo avrà dimenticato) che a Forza Italia era più facile chiedere ed ottenere qualcosa, piuttosto che offrirla, specie se gratuitamente. Ora, invece, vedrà che Le chiedo qualcosa che Le sembrerà enorme, anzi, impertinente e, magari, provocatoria. Trovi il tempo di riflettere un attimo: vedrà che anche ora, in fondo, non faccio che offrirLe ciò che, forse, molto potrebbe giovarLe. Mi ha indotto a scrivere questa lettera ciò che ho letto lo scorso sabato e, poi, in seguito: che Ella afferma la necessità di un inchiesta sulle circostanze che hanno comportato che Monti andasse a Palazzo Chigi. Per carità, Presidente, lasci perdere le inchieste. Tanto, poi, un giorno o l’altro anche questa, magari, la farà un Ingroia. Piuttosto, è questa la mia richiesta-proposta, faccia Lei, con schiettezza e coraggio, una dichiarazione al paese sulle circostanze che Le hanno imposto di lasciare il governo. Non è questa, mi creda, una provocazione, una maligna e vigliacchetta ritorsione, o, addirittura, la richiesta formale di resa. È la proposta di un grande servizio da rendere al paese, maggiore di tutti quelli che ha potuto compiere nella sua attività di governo. Non è affatto la richiesta di recitare un “confiteor”. Non credo a pentimenti e pentiti (figuriamoci!). Non penso affatto a Sue ammissioni di errori (salvo, magari, quello, che, poi, non è Suo personale, ma è il grande inganno di un secolo, relativo alla ricerca quotidiana del consenso, dell’apprezzamento dell’immagine: la schiavitù, per intenderci, dei sondaggi di opinione). 

Piuttosto le chiedo, Le suggerisco, La scongiuro di non rifiutare questa mia proposta, di proclamare al paese quelli che in questi anni sono stati i suoi nemici veri, di dentro e di fuori, quelli che Le hanno impedito di effettivamente governare secondo i Suoi disegni, di parlare apertamente del partito dei magistrati, che, mettendosi sotto i piedi la giustizia non solo e non tanto nei Suoi confronti, ma nei confronti di tutto il paese e di ogni sua altra Istituzione, ha deciso fin dal primo momento di impedirLe di governare. La scongiuro di parlare di tutti i ricatti dei “poteri forti”, della finanza del “salotto buono”, della confraternita dei giornalisti e dei padroni dei giornali, della burocrazia sospettosa ed intrigante, della Chiesa ricattatrice, della cultura “impegnata” al banco dei pegni di una sinistra viscida ed esigente. 

Potrei continuare, ma credo che basti. Credo che basterebbe a cominciare a far capire al paese che c’era una vera rivoluzione da fare, una nuova rivoluzione allo stesso tempo illuminista e liberale cui Ella era impegnato, e che ha vinto, con i mezzi più subdoli, la reazione. Solo così sarà possibile a Lei e, soprattutto, all’Italia aggiungere: “per ora”. Per ora ha vinto la reazione, il cattocomunismo, l’europeismo bancario, la cultura del politicamente e sinistramente corretto, hanno vinto i giuristi di corte e di cortile. Sarebbe, nientemeno, un manifesto del nuovo liberalismo. In negativo, naturalmente, ma indiscutibilmente, finalmente, un manifesto realistico. E poi domani, caro presidente può essere un altro giorno. O forse anche oggi. Non neghi al paese questo contributo di verità e di speranza. Abbia i miei auguri ed i migliori saluti.


di Mauro Mellini