La deriva estremista della sinistra italiana

sabato 8 dicembre 2012


Come è noto, la storica cinghia di trasmissione della Cgil rappresenta un forte fiancheggiatore “esterno” di un Partito democratico a trazione vendoliana. E se consideriamo che tra i maggiori e più attivi esponenti di questo sindacato vi è Maurizio Landini della Fiom, qualora Bersani dovesse raggiungere la stanza dei bottoni, egli dovrebbe sudare le classiche sette camicie per tenere a bada anche questa molto sinistra componente. 

Basti pensare che, nel corso di una dura schermaglia col sottosegretario Polillo in quel di Ballarò, lo stesso Landini ha espresso con chiarezza la sua linea bolscevica. A suo parere, infatti, un governo che si rispetti dovrebbe obbligare per decreto le aziende, nella fattispecie la Fiat, ad investire nello sviluppo di nuovi prodotti, espropriando e nazionalizzando - vedi Ilva di Taranto - quando ciò va incontro agli interessi dei lavoratori e della comunità. Cosa che, per inciso, secondo noi liberali non dovrebbe mai avvenire in un paese avanzato, lontano anni luce dalla pianificazione economica di staliniana memoria a cui sembra far riferimento il leader dei metalmeccanici della Cgil. Un personaggio, vorrei aggiungere, il quale sembra interpretare la democrazia sindacale come un sistema per obbligare le imprese e il governo ad assoggettarsi a qualunque richiesta, ripristinando i fasti utopistici del salario come variabile indipendente da tutto.

Ebbene, così come accadrà con la componente più radicale del suo schieramento, anche agli estremisti sindacali ben rappresentati da Landini il buon Bersani, una volta giunto a Palazzo Chigi, non potrà certamente raccontare favole. Chi si aspetta da un futuro esecutivo progressista misure ulteriormente dirigistiche e protezionistiche, principalmente nei confronti del lavoro salariato, non potrà accontentarsi di una semplice pacca sulle spalle. 

Questa gente premerà per ottenere tutta una serie di provvedimenti i quali, contrastando decisamente con i vincoli finanziari imposti dalla nostra permanenza nell’euro, costringeranno il capo del centro-sinistra ad arrampicarsi letteralmente sugli specchi. 

D’altro canto, continuando a cavalcare la tigre dei sostenitori di una occupazione da ottenere per legge, lo scaltro Bersani dovrà poi spiegare a costoro che non ci sono più soldi per realizzare le loro follie stataliste e keynesiane. A meno che, onde non scontentare nessuno, il segretario del Pd non intenda farci uscire dall’Europa, rincorrendo ogni rischiesta proveniente dalla sua variegata e, per questo, incontrollabile base di consenso. Staremo a vedere.


di Claudio Romiti