I sacerdoti del bene comune

venerdì 7 dicembre 2012


Nonostante la temporanea discesa del nostro spread sui titoli pubblici, dovuto essenzialmente all’azione della Bce di Mario Draghi, dobbiamo registrare il preoccupante aumento del debito pubblico il quale, malgrado le stangate fiscali degli ultimi tempi, è cresciuto di ben 98 miliardi dall’inizio del 2012. Eppure, considerando che molti altri indicatori macro-economici sono nettamente negativi, sui media nazionali prosegue senza sosta un dibattito a dir poco surreale. In sostanza, si mettono in scena discussioni e contraddittori (l’ultima è quella sull’ennesima assunzione in blocco dei cosiddetti precari della pubblica amministrazione, che vede in prima linea la grancassa televisiva, il Tg3, della sinistra montante) tra i vari esponenti dei partiti tradizionali con un intento abbastanza preciso: scovare nel mare magnum della politica la miglior soluzione per uscire finalmente dalla crisi che sta letteralmente soffocando il paese reale. 

Ora, in primis occorre rilevare che, nonostante il colossale fallimento che ha caratterizzato anche la cosiddetta seconda Repubblica, in questi spettacolini di pseudo approfondimento il conduttore-imbonitore di turno, oltre a cercare di far accreditare in modo quasi subliminale le tesi politiche a lui più vicine, si rivolge ai vari ospiti - gente che magari ha passato metà della propria esistenza in Parlamento - come se attraverso di essi parlasse l’oracolo della verità rivelata. Oracolo di una visione sostanzialmente costruttivistica della società, in cui si dà per acquisita una concezione della realtà che acquisita non è affatto. Ovvero l’idea, del tutto destituita di fondamento, secondo la quale ogni cosa -compresa la soluzione di qualunque problema sociale- discenderebbe da un atto deliberato della sfera politico-burocratica. Pertanto ne consegue sul piano mediatico che solo interpellando fino in fondo i soci vitalizi della stessa casta politico-burocratica risulterebbe possibile offrire al popolo degli ascoltatori un ventaglio di ricette accettabili.  Ma in realtà, come se si trattasse di un frattale (particolare figura geometrica che ripete nelle sue componenti più piccole l’identica forma d’insieme) ideologico, le tesi dei politici della stragrande maggioranza dei politici di professione, con varie sfumature, ruotano tutte intorno ad alcuni punti fermi. In sintesi si invoca più Stato e maggior regolamentazione, con forti iniezioni keynesiane di spesa pubblica per uscire dalla crisi. 

D’altro canto da gente, a prescindere dal colore politico, abituata ad ottenere consenso sulla base delle chiacchiere e abilissima a spendere i soldi degli altri non credo che ci si possa aspettare molto di più nell’ambito di un dibattito televisivo. Soprattutto se lo spettacolo è condotto da una serie di personaggi la cui fortuna è legata da sempre al circo autoreferenziale della politica politicante. Ed è anche per questo che le più genuine visioni liberali di uno Stato minimo quale possibile via d’uscita al disastro imminente continuano ad essere relegate nei social-forum, pur godendo di un crescente consenso tra i cittadini comuni. Si spera che prima o poi i nostri lottizzati operatori dell’informazione si accorgano che nella società non ci sono solo quelli che invocano più protezione a colpi di spranga e di patrimoniale, bensì anche alcune silenziose minoranze che vorrebbero meno politica, meno tasse e meno welfare, soprattutto quando esso serve a mantenere a sbafo milioni di parassiti. Si tratta solo di farle parlare.


di Claudio Romiti