Sallusti, solidarietà cercata male

giovedì 6 dicembre 2012


È difficile e spiacevole dover dire a qualcuno che è stato privato della sua libertà: “tu hai sbagliato in questo o in quello”. 

È difficile evitare quel po’ di vergogna che ogni uomo libero sente (o dovrebbe sentire) di fronte ad un altro che, specie se ingiustamente, libero non è.

Alessandro Sallusti è ingiustamente detenuto. Ingiustamente, perché per diffamazione, benché la legge preveda pene detentive anche pesanti, assai difficilmente esse vengono inflitte e, quindi, l’interrogativo “perché proprio a lui?” è legittimo e le risposte lasciano quanto meno forti perplessità. È ingiustamente detenuto perché, se la responsabilità del direttore del giornale per i reati commessi da altri, autori dello scritto, di cui non possa o non voglia rivelare il nome, è necessaria e logica, è però mera “fictio juris” che importa, quanto meno, che non si infierisca contro un “colpevole” solo presunto. E qui è inutile che ripeta che non c’entra quello che penso di quell’articolo ed il fatto che non solo non ne condivida il contenuto ma che lo consideri piuttosto stupido. La stupidità non è reato. E ciò non rende nemmeno un po’ più difficile protestare per il trattamento riservato a Sallusti. Quel che conta è che parlare di diffamazione di fronte all’espressione di una tesi politico-morale, per quanto “personalizzata” per l’occasione, è di per sé problematico. Applicare, poi, in un caso simile una pena inconsueta è sicuramente inopportuno ed ingiusto. E, poi, c’è la perplessità che nasce dal fatto che si è avuta la mano così pesante nei confronti di chi aveva osato “mancar di rispetto” ad un magistrato.

Spero che questa non mi assicuri gli arresti domiciliari per il resto della mia vita (scherzo, naturalmente: non voglio mica passare per un eroe, senza assicurarmi preventivamente nemmeno la solidarietà di Marco Pannella!), ma di fronte ad un direttore di giornale condannato alla reclusione e nemmeno per un tempo trascurabile, l’interrogativo se un trattamento altrettanto rigoroso sarebbe stato riservato a qualcuno, querelato, che so, da un veterinario, da un impiegato del catasto, da un avvocato etc. etc. è tutt’altro che impertinente ed ozioso.

C’erano, dunque, diversi motivi perché Sallusti potesse augurarsi di ricevere molte ed autorevoli espressioni di solidarietà. Se era (ed è) nelle sue intenzioni di sollevare un “caso nazionale”, questo non avrebbe potuto e dovuto essere che quello generico della “malagiustizia” e quello, assai più specifico, del “partito dei magistrati”, della solidarietà di casta, della suscettibilità di chi esercita la funzione giudiziaria tenendo anzitutto ad osservare l’insegnamento (interpretato in chiave maccheronica) di Sant’Agostino: “Charitas incipit a semet ipso”.

Sfida rischiosa, certamente, ma certo non priva di un forte significato e di un sicuro, anche se, ahimè, circoscritto, ambito di risonanza e di consenso. Ma Sallusti ha sbagliato tutto. Ha puntato il dito contro il reato di diffamazione e contro la pena detentiva comminata dalla legge per tale reato. 

Ancora una volta lo ripetiamo: questo significa buttare il bambino con l’acqua sporca. Perché se ci sono ingiuste ed esorbitanti condanne alla reclusione per diffamazione col mezzo della stampa, ce ne sono sicuramente anche di giuste e di necessarie, di fronte all’uso della stampa scientemente malizioso e distruttivo dell’altrui personalità che, in molti casi, può verificarsi e si verifica. E ve ne sono di condanne a troppo tenui pene pecunarie.

Sallusti ha ritenuto che per una sua battaglia contro la reclusione per il reato di diffamazione o, addirittura, per la depenalizzazione avrebbe ottenuto la mobilitazione della corporazione dei suoi colleghi. Certo, si tratta di una corporazione potente e non priva di solidarietà e spirito di corpo. E sussiste un interesse di essa ad attenuare il regime sanzionatorio della diffamazione, specie per i riflessi sul risarcimento dei danni. 

Ma una corporazione, una lobby potente, non scende mai in campo per battaglie frontali, anche se non ha nessuna remora per il getto del bambino (e, forse, per così conservare l’acqua sporca). Il risultato è stato disastroso. Sallusti ha dovuto, in verità un po’ ingenuamente, lamentare che nessun direttore di giornale è andato a porsi al suo fianco quando aspettava i Carabinieri che lo andassero a prelevare al “Giornale”. Figuriamoci!

Ha ottenuto sì, qualche solidarietà. Magari quella di Capezzone e di La Russa, ma si ha l’impressione, e qualcosa di più dell’impressione, che il “bel gesto” di offrirsi fieramente all’arresto (e pure ad una nuova imputazione di “evasione”) sia stato sprecato. Peccato.

Mi verrebbe voglia di mandare a Sallusti recluso a domicilio, il mio libro “Il Partito dei Magistrati”, che ora avrebbe il tempo di leggere senza la preoccupazione di scrollarsi di dosso la petulanza dell’autore. Ma ciò avrebbe un sapore sottilmente crudele, che, data l’attuale condizione del mio interlocutore, che merita ogni attenzione e rispetto, non intendo proprio provocare. Chi sa, però, che alle riflessioni contenute in quel libro non pervenga da solo. Del resto esso è dedicato «a tutti quanti non leggeranno questo libro, con l’augurio che non abbiano a pentirsi di non averlo letto».


di Mauro Mellini