martedì 27 novembre 2012
Chiunque fosse al posto di Matteo Renzi si lascerebbe cogliere dalla suggestione di usare il secondo turno delle primarie del Pd come trampolino di lancio per una avventura tesa a sparigliare le carte della politica italiana ed a porsi al centro della scena politica nazionale. A spingerlo in questa direzione non sarebbe solo la considerazione dell’inevitabile sbocco del ballottaggio verso un asse Bersani-Vendola teso a richiuderlo nel recinto fiorentino in attesa di fortune (o più facilmente sfortune) future. Ma anche la certezza che lo spostamento a sinistra del Pd, conseguenza inevitabile dell’alleanza tra il segretario ed il leader di Sel, aprirebb uno spazio politico estremanente ampio nel panorama politico italiano trasformando chi sarebbe pronto ad occuparlo raccogliendo consensi dal centrosinistra riformista al centrodestra liberale e democratico, nel punto di riferimento naturale della maggioranza degli italiani. Ma Renzi è in grado di trarre il dado e traversare il suo Rubicone? La questione non riguarda tanto la volontà del sindaco di Firenze. Che è già stata dimostrata abbondamentemente dalla sfida, che all’inizio appariva impossibile e velleitaria, lanciata non solo a Pierluigi Bersani ma soprattutto all’inamovibile ed immodificabile gruppo dirigente del partito. La questione riguarda solo le possibilità concreta che il passaggio del Rubicone da parte di Renzi porti effettivamente alla conquista del potere a Roma o ad una sorta di guerra civile della sinistra destinata a favorire la resurrezione del Lazzaro berlusconiano. Il dilemma è aperto. Perché è fin troppo evidente come lo sbilanciamento a sinistra del Pd dovuto al condizionamento di Bersani da parte di Vendola possa spianare la strada ad un Renzi alfiere della bandiera della rottamazione di un vecchio modo di fare politica, che a sinistra è quello immodificato dagli anni ‘70 della Cgil e degli eredi del vecchio Pci. Ma è altrettanto innegabile che se Renzi dovesse decidere di reagire al blocco operato nei suoi confronti dalla tradizionale nomenklatura post-comunista e conservatrice della sinistra, andrebbe incontro al rischio con cui si sono dovuti misurare tutti coloro che hanno avuto l’ardire di sfidare da posizioni riformiste il moloch dell’ortodossia marxista o post-marxista. Passato il suo Rubicone, in sostanza, Renzi si troverebbe a combattere contro un nemico reale ed agguerrito formato dalla sinistra tradizionalista e contro un nemico irreale, ma ancora più pericoloso di quello concreto, formato dalla scomunica per tradimento e passaggio al nemico.
Renzi, in altri termini, finirebbe come Saragat prima e come Craxi poi. Bollato come un avventuriero al servizio del capitale finanziario (accuse in questo senso sono già partite) o delle sue ambizioni talmente sproporzionate da trasformarlo in un secondo Cavaliere nero. È disposto il sindaco di Firenze a giocare una partita contro questo nemico incorporeo che in passato ha fornito dimostrazioni evidenti di micidiale efficacia? È pronto a sfidare una tradizione perversa che condanna la sinistra riformista a rimanere subalterna e succube di una sinistra massimalista minoritaria nel paese ed incapace di preparare un futuro di innovazione e di modernità per la società italiana? Se lo fosse, il finale della Seconda repubblica potrebbe diventare meno oscuro di quanto possa apparire al momento.
di Arturo Diaconale