Europeismo, alibi delle sistemazioni personali

venerdì 23 novembre 2012


È il caso di incominciare a parlare di europeismo. E di distinguere tra quello irresponsabile e quello responsabile. A rendere necessaria la discussione e la distinzione c’è lo spettacolo inquietante di un vertice straordinario Ue segnato da divergenze apparentemente inconciliabili tra i 27 paesi dell’Unione sul bilancio, sulla moneta unica, sugli investimenti, sulla banca centrale e su qualsiasi altro argomento posto sul tavolo della riunione. Ma c’è, soprattutto, la totale indifferenza con cui la maggioranza dei politici italiani che fanno dell’europeismo una fede assoluta ed indiscutibile reagisce all’evidente dimostrazione della crescente incapacità dell’Unione europea di affrontare una crisi economica che rischia di farla esplodere in tanti pezzi separati e tra loro conflittuali. 

Lo spettacolo desolante offerto dal vertice Ue, in realtà, non stupisce. L’assenza di una unità politica dell’Europa impone ai singoli paesi di perseguire il proprio interesse nazionale. Per cui è addirittura normale che la Gran Bretagna si rifiuti di versare a Bruxelles i soldi che ha tagliato al proprio bilancio, che la Francia difenda alla morte gli stanziamenti europei per la propria agricoltura, che la Germania minacci di non sostenere la Grecia sull’orlo della bancarotta e che l’Italia, addirittura l’Italia, faccia la voce grossa sollecitando più equità nella distribuzione delle risorse. E non stupisce neppure l’eventualità che dallo scontro tra gli interessi nazionali possa venire fuori l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea e l’avvio di un processo di frammentazione e scomposizione dell’intera Ue.

Ciò che colpisce è che mentre l’Europa fondata su basi economiche e commerciali e tenuta unita dalle burocrazie di Bruxelles rischia lo sfaldamento, gli europeisti italiani non prendano neppure in considerazione una eventualità del genere e si arrocchino attorno alla loro fede incrollabile pretendendo di stabilire che il futuro del nostro paese debba obbligatoriamente passare attraverso l’applicazione della cosiddetta “Agenda Europa”. Ma quale agenda? E di quale Europa?

Porre questi interrogativi non significa negare o ripudiare il valore dell’unità del Vecchio Continente. Significa, semplicemente, fissare una differenza netta tra l’europeismo fideistico ed irresponsabile e l’europeismo cosciente e responsabile.Il primo, come si è visto nel vertice Ue, porta fatalmente allo sfaldamento di una unità europea che si fonda su basi fragili come quelle date da una moneta unica priva di istituzioni unitarie e da una burocrazia dirigista priva di reale contatto con la comunità che pretende di guidare. Il secondo dovrebbe portare a correggere gli errori dell’europeismo fideistico ed a porre al centro dell’agenda politica non l’uscita dall’Ue ma la richiesta di una più forte azione del paese a livello continentale per la nascita di una Europa politica capace di dare vita agli Stati Uniti d’Europa ed una strategia unitaria per uscire dalla crisi. Distinguere tra europeismo responsabile ed irresponsabile non è una banalità. È l’unico modo per smascherare quando politici in Italia usano strumentalmente l’europeismo solo per fini politici interni. Cioè per dare un minimo di copertura politica e dignità intellettuale alle manovre in atto per le proprie sistemazioni personali. Vero Franco Frattini?


di Arturo Diaconale