mercoledì 21 novembre 2012
Non va derubricata a semplice polemica da battaglia per le primarie quella che vede contrapposti Ugo Sposetti, storico ex tesoriere dei Ds e sostenitore di Pierluigi Bersani, ed i più stretti collaboratori di Matteo Renzi. E che è incentrata sui soldi spesi dal sindaco di Firenze nella campagna per la conquista della candidatura a premier in contrapposizione con il segretario del proprio partito. Sposetti sostiene che la macchina propagandistica con cui Renzi ha percorso mezza Italia e che ha prodotto la manifestazione conclusiva alla Leopolda sia costata una cifra ben superiore a quella dei 200mila euro che è il tetto di spesa dei candidati indicato dalle regole delle primarie. L’ex tesoriere Ds ha fornito una serie di dati e di cifre ed ha concluso che i conti di Renzi sono molto più alti di quelli dichiarati ufficialmente. I renziani, ovviamente, hanno negato le affermazioni di Sposetti e lo stesso Renzi ha ribadito che tutte le cifre sono state ufficializzate sul sito ufficiale della propria campagna e provengono dalla libera sottoscrizione dei propri sostenitori.
Stabilire chi abbia ragione e chi torto non è una impresa difficile. È del tutto inutile. Perché mai come nella campagne elettorali (e le primarie sono una campagna elettorale) la matematica è una opinione. Che cambia e si modifica a seconda di chi fornisce cifre e giustificazioni.
Più interessante, piuttosto, è riflettere sul fatto che le primarie, proprio perché costituiscono una campagna elettorale anticipata, comportano comunque un costo. Che forse potrà essere contenuto ma che è sempre e comunque elevato. E che da qualcuno va sostenuto. Un qualcuno che non è lo stato, visto che i rimborsi elettorali non sono ancora previsti per le primarie ma solo per le elezioni tradizionali. Chi paga, allora?
I sostenitori a colpi di piccole sottoscrizioni che nel caso di Renzi hanno raggiunto una cifra sicuramente ragguardevole (oltre i centomila euro) ma di di sicuro nettamente inferiore a quella necessaria per pagare tutte le spese? Oppure i fondi del partito, come potrebbe essere nel caso di Pierluigi Bersani, con evidente disparità di condizioni tra il segretario ed i suoi sfidanti?
La questione non è di poco conto. Perché i costi delle primarie sono solo l’antipasto. Il piatto forte viene con le elezioni tradizionali.
Quelle che, come tutti sanno, impongono spese gigantesche che fino ad ora sono state sopportate dalle casse dello stato ma che da adesso in poi, se mai venissero reintrodotte le preferenze, tornerebbe in parte ad essere sopportate dai singoli candidati.
In un paese afflitto da una crisi economica spaventosa, dove le aziende chiudono e la disoccupazione aumenta a ritmi sempre più preoccupanti e dove l’emergenza ha imposto un regime di austerità tale da provocare la recessione, circola un fiume di denaro che tra qualche mese è destinato a diventare uno vero e proprio tsunami. Il tutto nella più invereconda ipocrisia di chi predica la necessità dei sacrifici ed avalla non solo lo sperpero di soldi pubblici ma anche di quelli privati. E nel legittimo timore che per ottenere le somme necessarie prima alle primarie e poi alla campagna elettorale vera e propria, i singoli candidati ed i partiti possano ricorrere a quei meccanismi di finanziamento che dopo aver provocato la crisi della Prima Repubblica hanno delegittimato e di fatto smantellato anche la Seconda. Se anche la Terza dovesse nascere su queste basi, sarebbe meglio che non vedesse mai la luce.
di Arturo Diaconale