mercoledì 14 novembre 2012
Pierluigi Bersani ha minacciato di scatenare un “Vietnam parlamentare” se Pdl, Udc e Lega non accetteranno le sue richieste di modifica della bozza di accordo sulla nuova legge elettorale. Il leader del Pd ha un numero adeguato di deputati e senatori per concretizzare la propria minaccia. E, quindi, è facile rilevare che o riuscirà a far passare le proprie richieste (in particolare il premio di maggioranza del 10 per cento per il partito più votato) o la riforma del sistema elettorale salterà e si tornerà a votare in primavera con il tanto deprecato Porcellum.
Ed il Vietnam parlamentare? Quello scatterà nella prossima legislatura. E la sostanziale paralisi della politica a causa di una attività parlamentare perennemente bloccata dalla guerriglia degli emendamenti e dell’ostruzionismo si verificherà comunque si verificherà inevitabilmente dopo il voto.
Per evitarla Pierluigi Bersani non si dovrebbe accontentare della bozza Malan corretta secondo i suoi gusti, del Porcellum, della vecchia legge truffa di Mario Scelba e neppure della legge Acerbo di mussoliniana memoria. Dovrebbe avere il controllo totale ed assoluto del nuovo Parlamento con una maggioranza da Comitato Centrale del vecchio Partito Comunista dell’Unione Sovietica. Ma si tratta di un sogno che il segretario del Pd non potrà mai realizzare. Perché i sondaggi indicano che Pd e Sel difficilmente riusciranno a superare il 30 per cento dei suffragi. E che questa cifra non supererà il quaranta neppure se ad essa si dovessero aggiungere quella attribuita all’Udc di Pierferdinando Casini e la parte dell’Idv fatta scindere allo scopo dal corpo dipietrista.
Nessun premio di maggioranza, né con il ritorno al proporzionale, né con la conferma del Porcellum, in sostanza, può cambiare una realtà che vede comunque minoritaria nel paese ed estremamente ridotta in Parlamento una qualsiasi maggioranza incentrata sulla sinistra alleata con le forze marginali del centro e dell’area post-comunista. In passato, non solo nella Prima repubblica ma anche nella Seconda, una maggioranza del genere avrebbe potuto governare, sia pure a fatica. Ma nel presente questa possibilità è preclusa. Perché in Parlamento entreranno forze d’opposizione non solo di ampie proporzioni ma decise a portare avanti battaglie tese non alla riforma del sistema politico attuale ma alla sua dissoluzione.
E queste forze, dai seguaci di un Grillo che restando fuori dal Parlamento sarà uno stimolo costante alla intransigenza antisistema dei suoi fino ai leghisti ormai indirizzati lungo la strategia delle secessione morbida del Nord, non lasceranno un attimo di tregua in Parlamento e nel paese ad una maggioranza che comunque non potrà in alcun modo derogare dalla linea del rigore e dei sacrifici imposta dall’Europa.
Può essere, allora, che con una nuova legge elettorale fatta a sua immagine e necessità o con la conferma del Porcellum, Pierluigi Bersani possa entrare da vincitore a Palazzo Chigi all’indomani del voto. Ma se mai gli dovesse capitare questa eventualità è bene che il segretario del Pd si prepari subito a tornare alle urne nel giro di pochissimo tempo. Non sarà lui a segnare la fine della Seconda Repubblica e l’avvento della Terza. Sarà lui, semmai, a segnare la fine di un ciclo politico a cui dovrà necessariamente seguire una nuova fase di cui non si sa nulla, tranne che dovrà essere necessariamente fondata sulle macerie definitive dell’attuale sistema. Non alle prossime elezioni ma a quelle successive, quindi, l’area di centrodestra deve guardare per la propria rinascita e per il proprio rilancio.
di Arturo Diaconale