Le analogie con della Prima Repubblica

venerdì 9 novembre 2012


Si notano molte interessanti analogie tra questo infuocato periodo ed il crepuscolo della cosiddetta prima Repubblica. Anche allora circolava un punto di vista molto popolare in merito alla catastrofica situazione economica e politica.

In sostanza, oggi come ieri, era ed è ancora piuttosto diffusa la convinzione secondo la quale se le cose vanno male anche sul piano della crescita e dello sviluppo è perché i politici rubano. Ciò, molto in soldoni, si fonda sull’ idea assolutamente costruttivistica per cui spetterebbe al governo di un paese, oltre ad uno smisurato elenco di compiti, anche l’obbligo di “fare” proprio la crescita e lo sviluppo. E così pensano non solo tanti uomini comuni bombardati da una sempre più asfissiante propaganda collettivista, ma anche chi si incarica di renderla credibile e, per così dire, masticabile anche ai palati più facili. In questo senso vi sono alcuni accreditati operatori dell’informazione che spiccano per energia nello spronare i governanti di turno ad essere più incisivi in merito alle misure per rilanciare l’economia. Tra questi Sebastiano Barisoni - molto valido sul piano dei dati e delle documentazioni - il quale, dagli studi di Radio 24, non manca di bacchetare a giorni alterni l’esecutivo dei tecnici, reo di non fare abbastanza per riportare in alto il nostro malconcio Pil. 

Ora, ascoltando le lunge filippiche del giornalista, chi immagina la cosiddetta stanza dei bottoni come un luogo magico fatto di pulsanti e leve, in cui l’abilità politica dovrebbe consistere nell’azionare i comandi giusti, sarà portato a pensare sostanzialmente due cose: o chi occupa Palazzo Chigi è un incompetente nell’uso dei medesimi comandi, oppure egli decide deliberatamente di non usarli al meglio per chissà quali reconditi motivi. Ciò che, al contrario, non viene in mente a Barisoni ed a molti suoi estimatori è che probabilmente è sbagliata la premessa. Ovvero, non è affatto vero che la crescita e lo sviluppo dipendono in positivo da una serie di scelte deliberate di un governo, con l’unica eccezione di un taglio sostanzioso della spesa pubblica e delle tasse. 

E dato che, in realtà, la leva keynesiana con la quale gli interventisti economici è la stessa che  serve a reperire i relativi fondi attraverso la fiscalità, il meccanismo è destinato ad incepparsi sul nascere. Infatti, per adottare provvedimenti direttamente finalizzati a stimolare la domanda, qualsiasi esecutivo non può che aumentare il prelievo tributario o, in subordine, indebitarsi ulteriormente, dilazionando semplicemente nel tempo lo stesso prelievo aggiuntivo. Ma in tutti i casi, come dimostra a iosa l’esperienza di chiunque abbia tentato la strada burocratica per il benessere e la felicità, il saldo tra risorse rastrellate nella società spontanea e quelle realizzate dai piani economici in questo finanziati è sempre stato drammaticamente negativo. Per questo la nostra piccola ma agguerrita riserva indiana liberale continua ad invocare meno Stato, meno spesa e meno tasse per tutti, nessuno escluso.


di Claudio Romiti