giovedì 8 novembre 2012
Come in ogni party ben riuscito, nemmeno alla festa per la vittoria elettorale di Barack Obama sono mancati gli imbucati. A cominciare dagli italiani, che in quest’arte sono maestri indiscussi.
Come da copione consolidato, la capacità di saltare al volo sul carro del vincitore è stata degna dell’entusiasmo con cui i figuranti abbordano i carri allegorici al carnevale di Viareggio. Se il leader del Pd, Pier Luigi Bersani, ha subito messo il cappello sulla vittoria di Mr. President intravedendone un chiaro vaticinio per la sua corsa verso Palazzo Chigi, Nichi Vendola non ha perso tempo nel sottolineare di essere stato il primo a capire che si vince convincendo i moderati. Anche se, come scriveva ieri su Twitter Fabrizio Rondolino «L’obamismo della sinistra italiana è la forma attuale del suo antiamericanismo», è fuor di dubbio che per Obama la gauche nostrana abbia fatto da sempre un tifo sfegatato. Nulla di strano, dunque, se oggi celebra la sua vittoria come se fosse la propria.
Ma non c’è solo lei a festeggiare per la riconferma del presidente «bello, giovane (ora un po’ meno, ndr) e abbronzato». Obama, infatti, piace parecchio anche a destra. Specie a quella destra molto poco liberale per la quale statalismo e assistenzialismo non rappresentano certo un peccato mortale. E così, anche nello schieramento che almeno sulla carta avrebbe dovuto tifare per Mitt Romney, c’è invece chi gongola senza remore per il secondo mandato di Barack. Le prime avvisaglie di questa bizzarra schizofrenia ideologica si erano avute già in occasione dei congressi: se il Pd aveva spedito ben due delegazioni al congresso dei democratici americani, una ufficiale e l’altra ufficiosa, con Matteo Renzi in testa, il Pdl aveva completamente disertato quello repubblicano. Ieri, assieme alla vittoria di Obama, sono arrivati anche i peana ufficiali.
In testa, quello di Sandro Bondi, coordinatore dimissionario del Pdl, che ad Obama aveva dedicato persino uno dei suoi componimenti poetici più commoventi, definendolo «perla nera». C’è da capirlo: provateci voi ad azzeccare una qualsiasi rima baciata con il nome di Romney. Ma tra i festanti c’è anche l’ex ministro degli esteri Franco Frattini, che di Obama non può fare a meno di apprezzare il suo essere il presidente più “europeo” di tutta la storia degli Stati Uniti d’America. Esulta anche il Presidente della Camera, Gianfranco Fini: se avesse vinto Romney, spiega, ci sarebbe stato il rischio di «isolazionismo» in politica estera.
A giudicare dai disastri combinati ai danni dell’Europa dall’America democratica, dal Kosovo fino alla recente crisi libica, forse non sarebbe stato esattamente un male, ma tant’è. Persino Annagrazia Calabria, coordinatrice nazionale della Giovane Italia, italoamericana per diritto di nascita, non fa affatto mistero di aver votato per Barack alle elezioni del 2008. Errori di gioventù che certo non rinnega oggi.
Agli italiani non piace mai perdere, nemmeno per interposta persona. Se le cose si mettono male, dunque, meglio cambiare badoglianamente bandiera.
di Luca Pautasso