mercoledì 7 novembre 2012
Loro non sapevano ancora quale fosse il risultato delle elezioni presidenziali americane. La cronaca dell’ultimo giorno prima del voto è un frenetico susseguirsi di notizie, comizi, trasferte dei candidati negli stati in bilico, lunghe code ai seggi della Florida (precipitata nel caos per un ennesimo cambio di regole sul voto anticipato).
Nonostante la tensione e il caos, l’America riesce a reagire con estrema disciplina. Non c’è bisogno di un Duce: i treni arrivano in orario, anche quelli che attraversano le aree alluvionate arrivano precisi da spaccare il minuto. E anche i candidati sono puntualissimi, sui loro pullman itineranti. Obama ha già tenuto il suo discorso finale in Virginia, sabato scorso. «È stata un emozione fortissima. C’erano almeno 25mila persone, tutto lo stadio pieno. Fuori, il traffico delle auto era tale che si stentava a raggiungere l’evento elettorale, andando avanti a passo d’uomo» ci raccontano due ragazzi olandesi. Come tutti gli europei, voterebbero subito il presidente in carica se solo fossero cittadini americani. Sono qui negli Usa per “curiosità elettorale”. Non sono gli unici che, dal Vecchio Continente, arrivano in America per assistere all’evento, o parteciparvi direttamente. Nei servizi d’ordine, fra i volontari dei due partiti, si trovano anche cittadini di altri paesi europei. Obama, come nel 2008, catalizza maggiormente l’attenzione degli stranieri, sia occidentali che mediorientali. «Si può contestare quanto si vuole la politica estera del presidente, ma è sempre meglio del vuoto che c’è nel programma di Romney» – ci dice una ragazza egiziana, di professione reporter, temporaneamente negli Usa per studio.
Mitt Romney e Paul Ryan sono dei fenomeni americani. È difficile capirli da questa parte dell’Oceano. Fra i filo-repubblicani che fanno la coda per sentire l’ultimo comizio del candidato alla Casa Bianca, in uno stadio della George Mason University, a Fairfax (Virginia), non c’era alcuna certezza sui risultati usciti oggi. Nessuno che ci abbia risposto con un «vinceremo noi». La risposta tipica è sempre stata: «Too close». Troppa vicinanza fra i candidati per azzardare una previsione. Nonostante l’incertezza sui risultati, su chi potesse essere vincente o perdente, i motivi per votare Romney invece di Obama esistevano ed erano sentiti in modo molto viscerale.
«È la prima volta che partecipo ad una grande manifestazione politica. Ma penso che Romney e Ryan siano gli uomini di cui abbiamo bisogno, per esperienza, talento e conoscenza della materia economica. Per quattro anni non abbiamo avuto altro che un aumento di debito, il fallimento di tante aziende, il dilagare della disoccupazione, l’aumento dei prezzi – ci dice Laura, ex militare di professione, nella Marina. A proposito dell’ormai nota battuta di Obama sull’inutilità della spesa militare per costruire più navi (paragonata a uno spreco per acquistare “cavalli e baionette”), Laura ci spiega che: «In ambiente militare abbiamo subito capito che il presidente non avesse un minimo di dimestichezza con l’argomento. Curiosamente, se vogliamo essere pignoli, le baionette si usano eccome: sono inastate sui fucili dei marine. E nelle aree più remote dell’Afghanistan capita di usare i cavalli ancora oggi”. Battuta rimpallata. Peccato non sia intervenuta nel terzo dibattito televisivo presidenziale. «Credo che Romney e Ryan siano le persone giuste per riportare il paese sulla strada giusta, creare opportunità per le piccole imprese e rilanciare l’occupazione», ci dice Liam Donovan, impiegato in un’azienda… pubblica. Dunque non era vero che solo i privati fossero fan di Romney e tutto il settore pubblico sostenesse Obama.
Tutti i motivi per votare l’uno o l’altro candidato si riducono ad un solo tema: l’economia. Visto che la crisi non accenna neppure a mollare la presa sulla società americana, è sempre stata forte la determinazione di chi ha voluto veder riconfermato il presidente e lasciargli il tempo di curare le ferite. Così come è stata altrettanto forte la tentazione di cambiarlo subito, sostituendolo con un businessman più navigato. Queste due opposte tendenze hanno determinato la situazione «too close», troppo testa-a-testa per formulare pronostici. È stato anche un confronto antropologico. Alla George Mason University, il pubblico che ha riempito lo stadio, per salutare calorosamente l’ultimo comizio elettorale di Romney, era costituito soprattutto da famiglie (anche parecchio numerose) e anziani. Più gli uomini delle donne. Quasi nessuno single. Quasi nessuna coppia senza figli. Un ex studente, appena uscito dall’università, ci dice di essersi sposato subito dopo la laurea e di avere già avuto un bambino. È il popolo conservatore. L’opposto dell’urbanizzato (c’è chi dice: decadente) popolo di sinistra, fatto anche di single, coppie che non vogliono avere figli e minoranze etniche. Un panorama umano molto più europeo. Queste due americhe, fra loro inconciliabili, si sono confrontate per tutta la giornata di ieri nelle urne. Oggi capiremo quale delle due è destinata a prevalere.
di Stefano Magni