Casini e la politica dei due forni

venerdì 2 novembre 2012


Nessuna sorpresa per la decisione di Pierferdinando Casini di annunciare che nel Lazio ed in Lombardia l’Udc non si alleerà più con il Pdl e nel ribadire che dopo l’alleanza con il Pd fatta in Sicilia il suo partito punterà a ripetere l’operazione anche a livello nazionale. Non c’è sorpresa non solo perché l’ex Presidente della Camera aveva più volte ripetuto che avrebbe comunque seguito le indicazioni provenienti dal laboratorio siciliano. Ma soprattutto perché Casini, da autentico democristiano di antico stampo, segue da sempre la regola dei “due forni”. Ed avendo registrato che il “forno” berlusconiano di centro destra non è più in grado di assicurare il pane del potere, si rivolge a quello del Pd per continuare ad avere il prodotto indispensabile per la sopravvivenza di un partito che senza potere (e soprattutto sottopotere) non è in grado di sopravvivere.

La scelta di Casini è comprensibile. E se assicurasse la possibilità di dare un governo solido al paese sarebbe anche ed addirittura giustificabile. Ma, purtroppo, non risolve il problema più grave che alla luce delle elezioni siciliane grava sulla società nazionale, cioè la totale ingovernabilità secondo il modello di polverizzazione dei partiti maggiori e del consolidamento della protesta anti-crisi ed anti-Europa che si è già realizzato in Grecia. Non sarà l’alleanza tra progressisti ed una parte minoritaria dell’area dei moderati ad assicurare stabilità di governo all’Italia. Neppure se si dovesse andare a votare con l’attuale sistema elettorale che prevede un premio di maggioranza molto alto alla Camera. E tanto meno se si dovesse andare al voto con quel nuovo sistema elettorale di tipo proporzionale che tanto è stato richiesto da Casini e dai post-democristiani e che sembra essere il preferito anche dal nostalgico proporzionalista Giorgio Napolitano.

Con il Porcellum, infatti, una maggioranza sarà possibile alla Camera ma del tutto impossibile al Senato dove l’Udc , proprio sulla base dei risultati siciliani, difficilmente riuscirà a portare qualche proprio rappresentante. E con il nuovo proporzionale, che dovrebbe prevedere un basso premio di maggioranza per la coalizione vincente, non ci sarà maggioranza neppure alla Camera. E chiunque avrà la ventura di diventare il maggior partito (il Pd di Bersani o il Movimento Cinque Stelle di Grillo?) se vorrà governare dovrà necessariamente dare vita a governi sorretti da coalizioni non coese ed esposte ai ricatti continui delle sue componenti sia maggiori che marginali.

A Casini la faccenda interessa poco. Perché il suo obbiettivo dichiarato è di continuare con l’esperienza del governo tecnico incentrato, come ai tempi dei dorotei  democristiani, su un Udc posto al centro del centro. Ma alla maggioranza del paese la faccenda interessa molto. Perché la prospettiva di una legislatura destinata a durare molto poco e non in grado di esprimere un governo solido capace di fronteggiare efficacemente la crisi non può non preoccupare chi non riesce a vedere un futuro sereno per se stesso e per i propri figli.

Se, dunque, la mossa di Casini non serve a garantire un minimo di governabilità, serve, al contrario, ad alimentare ed a radicalizzare la protesta. Non solo quella di Grillo e di una sinistra estrema (Vendola e Di Pietro) che solo manifestando intransigenza possono sperare di non ripetere a livello nazionale la debacle siciliana. Ma soprattutto quella di un centro destra che dopo la scelta di sinistra dell’Udc deve prendere atto che il progetto del Ppe italiano è tramontato e che se vuole recuperare il proprio elettorato strappandolo dall’astensione deve mobilitarlo contro l’asse da Prima Repubblica Bersani-Casini e contro il Monti-bis schiavo dell’Europa dei banchieri e degli speculatori.

Dai due forni, dunque, si rischia di passare all’assalto ai forni. Grazie Casini.


di Arturo Diaconale