Riforme, contano solo gli interessi di parte

sabato 27 ottobre 2012


Osservando il teatrino della politica, in cui lo specchietto per le allodole delle primarie sembra prendere sempre più campo, il mio pessimismo circa la possibilità di un sostanziale cambiamento tende ad ampliarsi. E se da un lato i passi indietro annunciati e le rottamazioni invocate sembrano rinvigorire le speranze di chi crede in una politica nuova, ciò che avviene in Parlamento conferma invece la nefasta propensione dei partiti ad una forma di irresponsabilità di stampo greco. Tanto è vero che quasi all’unanimità, con un micidiale uno due, i partiti di maggioranza e di opposizione hanno prima bloccato il provvedimento del governo sull’aumento di 6 ore di lavoro settimanali per gli insegnanti, per poi approvare - sempre in coro - uno scellerato dispositivo in Commissione Lavoro della Camera con il quale, sostanzialmente, si amplia la già onerosa finestra dei cosiddetti esodati. E proprio su quest’ultimo aspetto occorre sottolineare che per coprire i costi di una simile operazione, si parla di circa 10 miliardi di euro in totale, Pd, Pdl e Udc non si sono fatti alcuno scrupolo di inserire un ulteriore contributo aggiuntivo del 3% sui redditi alti (roddoppiando quello attuale) e, dulcis in fundo, un eventuale inasprimento delle accise sui tabacchi, qualora servisse a tappare la falla. Quindi, al di là delle chiacchiere e dei richiami retorici al senso di responsabilità, quando si tratta di acchiappare fette di consenso col vecchio trucco di regalare “caramelle” ad una platea circoscritta di cittadini, spalmandone nel modo più occulto possibile i costi sull’intera collettività, i partiti trovano immediatamente il modo di compattarsi in blocco.
Ora, a parte  gli statalisti professionali del Pd e i membri di un partito allo sbando come il Pdl, stupisce molto che l’Udc di Casini, il quale da quando c’è Monti al governo non fa che lanciare richiami al senso di responsabilità delle forze politiche, si trovi sempre in prima linea quando c’è da affossare qualche pur blando provvedimento teso a tagliare la spesa pubblica. Evidentemente, al netto di tali richiami, anche l’ex presidente della Camera, al pari dei suoi sconsiderati membri del vasto partito trasversale del deficit spending, non sembra aver compreso la drammatica situazione che sta vivendo il paese, soffocato da un regime politico-burocratico che sta portando il sistema economico verso il collasso.
Ciò dimostra che per l’Udc le cose non stanno poi tanto male se il suo leader pensa di invocare rigore dai vari pulpiti mediatici mentre nel contempo i suoi esponenti, oltre ad allearsi localmente con cani e porci, come si suol dire, in Parlamento appoggiano ogni scellerata richiesta di nuove spese. Caro Pier Ferdinando Casini, all’interno di uno stato che spende il 55% del reddito nazionale e che deve far fronte ad un debito pubblico che ha raggiunto il 126% del Pil, il rigore che lei invoca non può che orientarsio verso una sensibile riduzione della spesa corrente. Altrimenti, continuando a predicare bene e a razzolare malissimo, la strada del fallimento - ovvero l’uscita catastrofica dall’euro - si farà sempre più probabile.

di Claudio Romiti