L'illusione del cambiamento

venerdì 19 ottobre 2012


In un paese dominato da molto tempo da una cultura politica collettivista l’illusione di poter cambiare le cose attraverso un semplice ricambio generazionale della classe dirigente viene preso come oro colato da tanti individui. Soprattutto a sinistra, l’idea renziana della rottamazione rappresenta per molte persone un paradigma fin dai tempi delle rivolte studentesche degli anni sessanta. E proprio per confutare il salto nel vuoto di una pseudo rigenerazione totalmente anagrafica che, all’indomani del ‘68, Giuseppe Prezzolini scrisse un magnifico pamphlet: “Il manifesto dei conservatori”. Ribadendo in sostanza il presupposto orteghiano della conoscenza storica quale somma delle acquisizioni accumulate nel passato, il fondatore de La Voce sostenne la necessità di operare ogni cambiamento sulla base di una gradualità che tendesse a preservare le migliori elaborazioni della società, evitando -come si suol dire- di buttare il bambino con l’acqua sporca. 

Ora, per tornare all’attualità politica, si potrebbe dire che l’ acqua sporca del momento, la quale inquina da troppo tempo la democrazia italiana, non deriva dalla scelta intenzionale dei singoli soggetti eletti ad ogni livello, bensì essa scaturisce da un sistema che è gradualmente scivolato verso la deriva che è oramai sotto gli occhi di tutti.  Un sistema che nessun uomo politico ha creato a tavolino, complottando contro il popolo, ma che un po’ tutti hanno contribuito ad alimentare restando ancorati ad una concezione del consenso elettorale fondato su una progressiva espansione dell’intervento pubblico, quindi della spesa, in ogni ambito della società. Per questo motivo, da liberale, mi cambierebbe ben poco se ad esercitare l’attuale, catastrofico controllo operato dallo stato su oltre metà della ricchezza nazionale fosse un governo composto dai vecchi marpioni dei partiti o da una genia di rampanti rottamatori. Anzi, e so con ciò di esprimere un concetto in questo momento piuttosto impopolare, tra un politico di lungo corso che, tuttavia, riuscisse a tagliare di un colpo 5 punti di spesa pubblica ed un immacolato paladino del nuovismo dilagante che promettesse di gestire in modo più onesto l’attuale, insostenibile perimetro pubblico, non avrei alcun dubbio a dare il mio appoggio al primo.

Sotto profilo il vero cambiamento, la vera rivoluzione copernicana dovrebbe scaturire dal coraggio politico di chi, compresa l’insostenibilità economica e finanziaria dell’attuale collettivismo strisciante, una volta giunto nella stanza dei bottoni operasse finalmente quelle imponenti riforme liberali di cui necessita da molto tempo il nostro Paese. Il nuovo, da questo punto di vista, significherebbe la riduzione di quell’eccesso di spesa e di tassazione che soffoca ogni forma di sviluppo. E se a realizzarlo fosse un quarantenne, piuttosto che un reduce della prima Repubblica, francamente importa poco. Ciò che conta è che finalmente qualcuno abbia il coraggio di rottamare, questo si, un sistema che è fallito ovunque sia stato applicato. Errare è umano, ma perseverare -pur sotto le spoglie di un giovin statalista- sarebbe veramente diabolico.


di Claudio Romiti