giovedì 11 ottobre 2012
Non basta il passo indietro di Silvio Berlusconi per consentire al centro destra di tornare ad essere competitivo con la sinistra. E non perché Pierferdinando Casini non sembra fidarsi troppo dell’annuncio del Cavaliere. E neppure perché Gianfranco Fini, nel timore di finire marginalizzato in una futura coalizione moderata, chiede che il passo indietro venga immediatamente seguito dalla messa a punto di un programma di governo che dovrebbe comunque prevedere una poltrona per l’attuale presidente della Camera.
Il passo indietro di Berlusconi non è sufficiente perché, per ridare al centrodestra la possibilità di battersi ad armi pari con il Pd di Pierluigi Bersani, non può assolutamente bastare cancellare le diffidenze di Casini e fornire le dovute assicurazioni a Fini e far raggiungere una intesa tra tutti i massimi dirigenti delle diverse componenti del centrodestra per trovare un leader in grado di sostituire il fondatore del Pdl. La rinuncia ad una candidatura a premier di Berlusconi deve andare di pari passo con un processo di rinnovamento completo di buona parte dell’attuale classe dirigente dell’area moderata. Al passo indietro, in sostanza, deve affiancarsi la rottamazione.
Non quella delle generazioni passate, che di fatto è già stata in qualche modo realizzata. Ma dei vecchi arnesi, delle glorie vetuste ed ormai da tempo sfatte, superate, bruciate, dei rampanti senza testa e delle teste senza cervello, degli affaristi senza valori e dei cortigiani senza una sola idea oltre quella di lucrare posti e privilegi alle spalle del sovrano protettore. Il passo indietro porta automaticamente alla rottamazione. Perché se esce di scena il leader che ha retto da solo il sistema bipolare degli ultimi vent’anni e che ha impersonificato nel bene e nel male questa lunga fase politica, a maggior ragione debbono farsi da parte tutti quelli che nello stesso periodo hanno fatto da comprimari all’attore principale.
Se si ritira il capocomico, si cambia la compagnia con facce nuove, più credibili, meno compromesse, non coinvolte. La prudenza di Casini e le resistenze di Fini vanno viste in questa ottica. I due personaggi sono troppo esperti per non aver capito che al passo indietro del Cavaliere non può non seguire nel minor tempo possibile la rottamazione della parte più significativa della vecchia classe politica di centrodestra. E poiché di questa vecchia classe Casini e Fini sono i massimi rappresentanti, si comprende benissimo che i due non abbiano alcuna intenzione di togliersi di mezzo. Il vero problema del centrodestra (sempre che Berlusconi dia seguito sul serio al proprio annuncio) è tutto qui. L’uscita di scena del Cavaliere non esaurisce il rinnovamento.
Lo avvia e lo rende inevitabile a tutti i livelli ed in tutte le attuali strutture. E poiché i primi a capire questa ineluttabilità sono proprio quelli che dovrebbero affrettarsi a scomparire per favorire il rinnovamento, ecco che spuntano le diffidenze, le resistenze, le condizioni. C’è un modo per fare in modo che al passo indietro segua la rottamazione? L’unico è che chi può sostituire a tutti i livelli i vecchi arnesi si faccia avanti e si assuma la responsabilità di realizzare il rinnovamento dalla base fino al vertice del centrodestra. Se ci sono battano un colpo. Montezemolo per primo!
di Arturo Diaconale