venerdì 5 ottobre 2012
Ogni quattro anni assistiamo ammirati allo spettacolo della democrazia in azione, quando i contendenti alla Casa Bianca si sfidano in un lungo e faticosissimo processo elettorale, che inizia circa un anno prima, con le primarie, ed entra nel vivo con i duelli televisivi. Ieri notte Romney ha stracciato Obama nel primo dei tre dibattiti presidenziali, togliendo ai media prevalentemente pro-Obama un boccone che pregustavano da mesi: celebrare il colpo del ko del presidente uscente allo sfidante.
A molti potranno apparire superficiali, invece i dibattiti sono l’essenza della politica, dove non basta avere le idee migliori, bisogna anche saperle comunicare e dimostrarsi credibili. Non è uno show televisivo, ma una durissima prova di sopravvivenza durante la quale i leader si forgiano nel contraddittorio davanti ad un pubblico di milioni di cittadini. E le regole sono chiare: dentro o fuori, senza reti di protezione, senza ripescaggi, scorpori, quote, listini o preferenze, senza i nostri bizantinismi da tardo impero.
Romney ha saputo mettere in atto al meglio la sua strategia: ha attaccato Obama in modo intelligente, pragmatico, non ideologico. Il che ha spiazzato il presidente, che su quel piano avrebbe avuto gioco facile a rispondere colpo su colpo. Entrambi avrebbero “eccitato” la loro base, ma se vuole vincere Romney deve fare di più, convincere gli elettori indecisi, indipendenti, e dunque impermeabili alla propaganda. E ogni volta, noi che guardiamo dal di qua dell’Atlantico non riusciamo a non farci prendere dalla depressione per lo stupefacente contrasto tra come funziona la democrazia negli Stati Uniti – sebbene con le inevitabili imperfezioni delle cose umane – e come è ridotta in Italia.
Anche noi siamo in campagna elettorale, ma non sappiamo ancora con quale legge elettorale si voterà, perché ogni cinque anni cambia a seconda degli equilibri che le forze politiche in Parlamento intendono favorire; il premier uscente non si candida ma è in pole per un secondo mandato; da una parte non fanno le primarie in attesa che l’anziano leader decida il da farsi, mentre dall’altra le fanno, ma col trucco per tagliare fuori l’outsider. E come se non bastasse, potrebbero non avere alcun senso in caso di ritorno al proporzionale.
Senza offesa per nessuno, ciascuno con le proprie ragioni alibi, attenuanti, ma sembra una gabbia di matti. Abbiamo sperimentato il proporzionale con le preferenze nella I Repubblica e sappiamo com’è andata: travolti dal clientelismo e dalla corruzione. Dopo un ventennio di esperimenti maggioritari , invece di completare la riforma in modo coerente ed organico, siamo pronti a consegnarci di nuovo al proporzionale, ai “mr. preferenze” come Fiorito, con un premio di maggioranza che anziché assicurare governabilità produrrà sindromi da vittoria “scippata”, un vero e proprio detonatore di instabilità sistemica. La prima caratteristica di una legge elettorale realmente democratica è la semplicità e la chiarezza del risultato: via sbarramenti, premi, listini, e il grande imbroglio delle preferenze, per cui un elettore vota ma non sa chi sta davvero eleggendo. Alla fine scelgo, turandomi il naso, ma poi torna Monti e governano tutti insieme; la lista che ho votato non raggiunge la soglia e ho buttato via il voto; un partito del 25% si ritrova con un centinaio di eletti in più spuntati dal nulla, che nessuno ha votato; oppure ok, ho espresso la mia preferenza ma non sapevo che il candidato della “corrente” forte nella mia circoscrizione era un altro. Può accadere di tutto, tutto al di fuori del controllo dell’elettore.
Tutto invece è molto più chiaro, intuitivo, quindi democratico, se il premier (o il presidente) viene eletto direttamente, se c’è un eletto per ogni collegio, e chi prende più voti vince, gli altri a casa. Come nell’America di Romney contro Obama. Tale è lo “spread” che ci divide dall’America, che mentre Obama e Romney stanno sudando le sette camicie per onorare la democrazia, Monti non sembra avere avversari (grazie all’impresentabilità altrui), eppure non ha alcuna intenzione di “sporcarsi” le mani con essa. A quanto pare gli italiani non meritano nemmeno la possibilità di esprimersi sulla sua riconferma.
di Federico Punzi