domenica 30 settembre 2012
Da New York il premier Mario Monti ha detto una cosa ovvia, che tutti avevamo già da tempo intuito, e cioè che in caso di impasse politico, se dal voto del 2013 non uscisse una maggioranza chiara in Parlamento, o di instabilità finanziaria, lui c’è, e risponderebbe, se chiamato, con quello spirito di servizio del novembre scorso. Finora sull’argomento non si era mai espresso così esplicitamente. Anzi, aveva addirittura lasciato intendere il contrario. Non un tatticismo interno, ma la volontà – parlando al pubblico del Council on Foreign Relations e di Bloomberg Tv – di rassicurare investitori e comunità internazionale sulla stabilità dell’Italia. Come se avesse detto “tranquilli, lascio giocare i ragazzi ma poi se fanno casino gli tolgo il pallone”.
I possibili effetti politici della sua disponibilità, finalmente esplicita, si possono leggere tra le righe delle reazioni: raggelato Bersani, entusiasta e “cavalcante” Casini, neutro Berlusconi. Un primo effetto potrebbe riguardare la legge elettorale: la trattativa potrebbe complicarsi, le posizioni del Pd bersaniano irrigidirsi, fino al rischio di tenerci il “porcellum”, ma anche sbloccarsi con un affondo del fronte proporzionalista Pdl, Udc e Lega. Fanno sorridere i retroscena di Repubblica (e quelli fotocopia dell’HuffPost italiano) che si sforzano di avvalorare la tesi di un Berlusconi anti-Monti, e il Giornale a ruota che parla di “sfida” del Cav. Com’è ovvio, in campagna elettorale cerca di interpretare gli umori dei suoi potenziali elettori, il che lo porta ad attaccare il governo sulle tasse e su Equitalia. Ma Berlusconi non ha nulla da temere da un Monti-bis (sempre meglio che restare isolati all’opposizione), l’unico problema sarebbe farlo accettare ai “falchi” del suo partito, soprattutto gli ex An. Anzi, secondo alcuni avrebbe anche proposto al professore di candidarsi, sostenuto da lui, da Casini e da Montezemolo. Per il Cav il «grande imbroglio» non è il governo tecnico: presentando il libro di Brunetta non se l’è presa con Monti, ma con la Germania e l’euro (anche se l’unico “grande imbroglio” è stato quello del Pdl ai suoi elettori). Chi invece si è sentito colpito dall’uscita del premier è Bersani, per il quale la disponibilità esplicita di Monti al bis rappresenta un ostacolo alla sua aspirazione di conquistare Palazzo Chigi.
Il segretario del Pd ha percepito qualcosa di ancora più terrorizzante: posto sul tavolo delle opzioni dal diretto interessato, il Monti-bis comincia a profilarsi sempre più come vera e propria ipotesi politica, e non solo carta d’emergenza. Non più un governo tecnico sostenuto da una grande coalizione, ma la possibilità di un Monti per la prima volta “politico”, sostenuto da un’ampia coalizione di forze, Pd compreso, ma non dalla sinistra. Il Bersani che oggi dice chiaramente no ad un Monti-bis, non potrebbe guidare il partito una volta che invece i numeri in Parlamento rendessero necessario richiamare il prof. Il Pd sarebbe costretto a cambiare pelle. Determinante, a questo punto, sarà la legge elettorale: al di là dei particolari tecnici, qualsiasi nuova legge sarà più proporzionale del “porcellum” e in misura maggiore o minore favorirà comunque l’ipotesi Monti. Ecco perché il Quirinale e il premier premono. Certo, Monti potrebbe finire al Colle al posto di Napolitano, ma non è ciò a cui pensa il professore quando parla di una sua eventuale “richiamata” in servizio, quanto piuttosto la sistemazione auspicata da Bersani: se le elezioni andranno sufficientemente bene per lui e male per il centrodestra, con nessun soggetto politico, vecchio o nuovo, capace di avvicinarsi alle percentuali del Pd, allora il voto non potrà essere messo tra parentesi e un governo politico di sinistra, con Monti al Quirinale, diventerà lo scenario più verosimile.
In questo caso l’errore di Monti, che per cocciutaggine e per il suo senso di superiorità antropologica non ha voluto trasformare la sua leadership da tecnica in politica, secondo le propensioni culturali che lo stesso Monti ha ammesso, potrebbe essere davvero esiziale per l’Italia. Il professore afferma il vero quando dice di non coltivare alcun piano politico. La parola è agli elettori, i quali determineranno, sia pure inconsapevolmente, gli esiti di questa partita a scacchi. Sarebbe più corretto se Monti si candidasse apertamente. Non in una lista, essendo senatore a vita, ma proponendosi ufficialmente per un secondo mandato, questa volta con un suo programma, e chiedendo il sostegno delle forze politiche, vecchie e nuove, senza preclusioni. I cittadini potrebbero scegliere davvero chi li governa e le forze politiche sarebbero costrette a fare i conti con la realtà, a riposizionarsi sulla base delle cose da fare, senza poter contare su una zattera di salvataggio dopo il voto. Un Monti-bis scelto dagli elettori avrebbe un mandato più forte. Un conto è una grande coalizione d’emergenza, per l’ultimo anno di legislatura, ben altro iniziarne una nuova di cinque anni: la maggioranza sarebbe molto meno compatta, tra una sindrome da vittoria scippata sul lato sinistro e pulsioni da opposizione sul lato destro.
di Federico Punzi