Cinque riforme liberali oltre Monti

sabato 29 settembre 2012


Stupisce lo stupore. Di chi oggi si accorge che il Monti bis è una scelta obbligata, imposta dai mercati, dall’Europa, dalla Bce, da chiunque guardi il nostro paese dall’esterno e sia convinto che per portarlo fuori dalla crisi e mantenerlo nell’area dell’euro si debba pretendere che segua la linea di politica economica già imposta a Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda ed anche Francia.

Ma si tratta di stupore vero? Ma siamo proprio certi che quanti, soprattutto a sinistra tra quelli convinti della possibilità che Pierluigi Bersani arrivi a Palazzo Chigi sull’onda di un massiccio consenso elettorale, cadono oggi dal pero di fronte alle parole di Mario Monti non abbiano mai saputo che il percorso politico della prossima legislatura sia già stato stabilito fuori dai nostri confini nazionali e con l’avallo convinto del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano?

La risposta è una sola. Nel nostro paese ci possono essere degli sciocchi ma non esistono ingenui. I primi, che sono pochi, possono anche aver creduto che il governo Monti fosse una soluzione interna destinata a preparare, come a suo tempo il governo tecnico di Lamberto Dini, l’avvento della sinistra al governo. Ma la stragrande maggioranza degli smaliziati non ha mai dubitato che la soluzione Monti sia stata voluta, con l’avallo e la partecipazione attiva del Quirinale, dai difensori europei dell’euro decisi a salvare la moneta unica costringendo i paesi non virtuosi della sponda europea del Mediterraneo a non derogare in alcun modo dalla linea del rigore e dei sacrifici.

Può essere che Bersani ed i suoi abbiano potuto pensare che per l’Europa sarebbe indifferente vedere un governo italiano guidato dallo stesso Bersani purché impegnato a seguire il programma di Monti. In fondo se il socialista Hollande è andato all’Eliseo perché un post-comunista italiano non può andare a Palazzo Chigi? Ma la crescente preoccupazione internazionale sul dopo elezioni italiano ha dimostrato che questa indifferenza non esiste affatto. Hollande ha alle spalle Mitterrand, Bersani Berlinguer ed un gruppo dirigente fermo all’eurocomunismo degli anni ‘70. Di qui un nervosismo ed una preoccupazione che ha spinto Monti, sempre con la benedizione di Napolitano, ad annunciare la propria disponibilità a portare avanti la linea chiesta dall’Europa e dai mercati.

Questo significa che le elezioni debbano essere considerate del tutto inutili? Niente affatto. Significa solo che il percorso per uscire dalla crisi è ancora molto lungo e che il compito delle forze politiche italiane in questa fase di subalternità non può essere quello di lottare per la conquista di un potere che è detenuto da mani lontane ma quello di lavorare alla propria rigenerazione ed alla transizione dalla Seconda repubblica esaurita prima ancora di essere ufficialmente nata ad una Terza repubblica effettivamente adeguata ai tempi. Le elezioni, allora, debbono essere intese non come come l’occasione per determinare una politica nazionale che è già stata segnata “ove si puòte ciò che si vuole” ma per per rinnovare i partiti e dire agli italiani quali riforme si vorranno realizzare nella prossima legislatura oltre quelle indicate dall’Europa per recuperare un minimo di sovranità nazionale e risolvere i più gravi problemi specifici del paese. In questa luce, ad esempio, le primarie del Pd assumono fatalmente l’aspetto di una sorta di congresso che si celebra nell’arco di più mesi, si conclude con un referendum e che ha come posta in palio la conservazione dell’attuale gruppo dirigente o la sua completa rottamazione. Lo stesso vale per il Pdl, che in campagna elettorale deve decidere se restare unito o trasformarsi in una federazione. Ma in questa luce, soprattutto, diventa indispensabile sottolineare come non sia sufficiente l’Agenda Monti per salvare il paese. Ma che a questa agenda dettata dall’Europa si debba aggiungere una Agenda Italia con le cinque grandi riforme che riguardano i problemi specifici italiani e che sono indispensabili per la ripresa: istituzioni , fisco, lavoro, autonomie, giustizia. 

Questo è il margine di autonomia che viene lasciato da chi “puote ciò che si vuole”. Occuparlo con il programma delle cinque riforme può dare un grande senso compiuto alle prossime elezioni.


di Arturo Diaconale