martedì 25 settembre 2012
La reazione immediata ed istintiva allo scandalo delle ruberie e degli sprechi alla Regione Lazio è quella di recuperare ed adeguare al tempo presente il motivo dominante della Crociata contro i Catari e lanciare un appello al “cacciateli tutti, Dio ricompenserà i suoi!”. Comportandosi in questo modo si liscerebbe il pelo all’indignazione popolare e ci si collocherebbe nella comoda scia di quei grandi media che di fatto hanno promosso e conducono la battaglia contro la casta politica in nome della morale e della legalità.
Ma cacciarli tutti scaricando sul Padreterno il compito di rimborsare in qualche modo i pochissimi non colpevoli, però, non è solo un “vasto programma” (come diceva De Gaulle a chi gli chiedeva di combattere i coglioni) . È anche una scelta rischiosa. Perché nasconde il pericolo di lastricare di ottime e sacrosante intenzioni una strada che può portare dritta verso un inferno peggiore del male che si vuole eliminare. Il rischio non è nascosto. È sotto gli occhi di tutti. La campagna contro la casta è degenerata in gogna mediatica indiscriminata, proprio all’insegna dell’“uccidiamoli tutti”.
Che viene diretta senza distinzioni di sorta contro presunti colpevoli già considerati condannati ed ipotetici innocenti ritenuti comunque responsabili di aver commesso in ogni caso un qualche vergognoso peccato. Fosse anche quello, non mortale ma veniale, del cattivo gusto. Ma ciò che che è ancora più evidente in questa campagna condotta all’insegna della incorruttibile virtù è l’obbiettivo che si vuole perseguire una volta cancellata una classe politica chiaramente indegna, inadeguata, composta in gran parte di affaristi e di cialtroni da strapazzo. Questo obbiettivo non è quello fisiologico di qualsiasi democrazia. Cioè il cambio della classe politica con la sostituzione della parte corrotta con la parte virtuosa. Con la cacciata all’opposizione della destra ed il trionfo della sinistra o viceversa.
L’obbiettivo, visto che agli occhi dei grandi media tutti sono responsabili di tutto, è molto più ambizioso ed alto. È il cambio di sistema con il passaggio dalla democrazia alla tecnocrazia. Che non è solo il governo dei tecnici espressi dalle Università o dalle banche e dei burocrati proveniente dai piani alti dei ministeri e degli enti pubblici ma è, soprattutto, il governo delle lobby organizzate, dei gruppi di potere chiusi, delle organizzazioni provviste di forte capacità di pressione che considerano ormai superato la selezione e la scelta della classe dirigente compiute dai cittadini attraverso le elezioni e credono adeguato ai tempi il metodo della cooptazione autoritaria di stampo corporativo.
Il rischio, allora, è che il populismo della ramazza indiscriminata produca un nuovo modello di fascismo. Senza “duce” ma con un un qualche demiurgo a cui scaricare il compito di vegliare sul paese dall’alto della sua superiore capacità e ineguagliabile conoscenza. E con al posto delle squadre d’azione, i neo-crociati dei media moralizzatori che usano la gogna mediatico-giudiziaria come moderni sostituti del manganello e dell’olio di ricino passato di moda. L’alternativa a questa nuova forma di fascismo tecnocratico non è, e non può essere, la difesa ad oltranza di una classe politica composta dominata da oligarchi ottusi e mascalzoni. Cacciamoli pure tutti. Non per sostituirli coi i nuovi squadristi dei poteri forti, ma per rigenerare il sistema democratico con l’immissione delle biografie onorevoli e pulite disposte a sottoporsi al libero giudizio del corpo elettorale.
Di queste biografie è pieno il paese. Ed è solo con queste biografie che si può salvare la nostra democrazia, evitando di finire nel trionfo della corruzione o nel baratro di un nuovo autoritarismo.
di Arturo Diaconale