Tu chiamale se vuoi speculazioni

mercoledì 5 settembre 2012


In attesa che la Banca europea tiri fuori dal suo già consunto cilindro il provvedimento principe per superare la cosiddetta crisi del debito, continua imperterrita la campagna dell’autoinganno italico, portata avanti da una classe dirigente sempre più incapace di comprendere le vere ragioni dell’attuale crisi. A questo proposito basta seguire un qualunque notiziario nazionale per ascoltare il mantra di una speculazione cinica e bara che sarebbe la vera responsabile delle crescenti difficoltà in cui si dibatte il nostro paese. Tuttavia, codesti cervelloni dell’informazione -sempre così politicamente corretti sul piano economico e finanziario- non si chiedono il motivo per il quale la stessa speculazione avrebbe scelto da tempo di abbandonare in massa i nostri titoli di Stato, che offrono rendimenti crescenti, per posizionarsi su quelli di paesi come la Germania e la Svizzera, a tassi d’interesse addirittura negativi? È proprio una ben strana speculazione quest’ultima la quale, oltre a pagare dazio per collocare i propri quattrini, rischia di mandare in rovina mezza Europa, col rischio di veder bruciate immense risorse, soprattutto in virtù dell’effetto contagio che un tale fallimento provocherebbe nel resto del pianeta. 

In realtà, per dirla in breve, più che di speculazione direi che si tratti di semplice valutazione prudenziale di una buona parte degli investitori internazionali e di chi è chiamato ad analizzare i fondamentali degli Stati che chiedono prestiti nel mercato globale. Ora si è scoperto -e non ci voleva molto a prevederlo con largo anticipo- che le manovre lacrime e sangue messe in campo dall’Italia da un anno a questa parte hanno ulteriormente stressato la sua già traballante economia, facendo precipitare all’indietro le già fosche previsioni economiche per il 2012 (oramai si parla di un calo del Pil che potrebbe sfiorare i 3 punti percentuali). Ciò, unito agli scarsi risultati sul fronte dei tagli alla spesa pubblica, potrebbe allontanare di molto quel chimerico pareggio di bilancio previsto dal governo Monti nel 2013. In sostanza, si starebbe delineando con una certa evidenza quella sorta di spirale senza uscita in cui si temeva che si avvitasse il Paese, soprattutto a causa di un pericoloso rigore ottenuto quasi esclusivamente dal lato delle tasse. 

In pratica, ci sembra abbastanza scontato che con un debito pubblico colossale,con una economia in brusca discesa e, conseguentemente, con gravi problemi di gettito e di bilancio che si prospettano molti investitori preferiscano posizionarsi su lidi ben più rassicuranti del nostro. Per questo motivo, così come sostiene da sempre la piccola riserva indiana di liberali italiani, l’unica strada per far ripartire l’economia, alleggerendo nel contempo il rischio solvibilità sul nostro debito sovrano, è quella che passa per un drastico taglio della spesa pubblica, eliminando contestualmente gran parte della colossale burocrazia che soffoca ogni forma di intrapresa. Ma codesto taglio, per intenderci, dovrebbe essere operato non sul tendenziale d’incremento -così come è avvenuto nel recente passato col ministro Tremonti-, bensì sull’ammontare complessivo delle uscite pubbliche (oltre 830 miliardi) le quali oramai rappresentano il 55% della ricchezza nazionale. Una percentuale da socialismo reale che risulta totalmente incompatibile con ogni possibilità di ripresa. Il problema vero è che oramai siamo entrati in una lunga campagna elettorale nella quale, in una confusione che non si era registrata nemmeno alla fine della prima Repubblica, nessun serio provvedimento sul fronte della riduzione del perimetro pubblico potrà essere preso. Pertanto, in attesa che si delinei una prospettiva politica di un certo respiro, al momento dobbiamo limitarci ad auspicare che qualcuno riesca a fare un domani ciò che pure i professori al governo hanno clamorosamente disatteso, al di là delle quisquilie della cosiddetta spending review.


di Claudio Romiti