domenica 2 settembre 2012
Perché mai i genitori di Rachel Corrie, cittadina americana uccisa per un tragico errore da un bulldozer israeliano mentre si interponeva alla distruzione della casa di un terrorista palestinese, si sono scelti un avvocato che parla come un nazista e dice di volere schiacciare la testa al «mostro Israele»? Come risponderemmo un adolescente che frequenta il liceo ci ponesse una semplice domanda come questa? Forse chiamando in causa la vendetta e i detti come quello secondo cui “il nemico del mio nemico è mio amico?”. O forse sospettando che, essendoci scappato un giovane morto, una vita preziosa come quella della odiatrice di Israele Rachel Corrie, per una causa così stupida come quella di solidarizzare con il terrorismo islamico, Israele sia il minimo comune denominatore di odio anti-semita e anti-occidentale su cui certe persone si mettono d’accordo, consolandosi persino del dolore che dà il lutto di perdere una giovane e bella figlia?
Certo bisognerebbe chiederlo a loro, anche se una corte israeliana, una di quelle che più volte ha costretto lo stato e il governo di Gerusalemme a tornare indietro su espropri di terre di palestinesi per costruire la famosa barriera difensiva anti-shahid, ha stabilito che quella morte fu un tragico incidente e che nessuno voleva uccidere Rachel quel maledetto 16 marzo 2003 a Rafah. Le immagini su YouTube che rimangono di quella ragazza ce la mostrano mentre insegna, come se ce ne fosse stato bisogno, ai piccoli bambini palestinesi a bruciare e bandiere israeliane.
La corte di Tel Aviv ha stabilito che «la colpa non poteva essere attribuita ai militari israeliani». Perchè «Rachel Corrie era entrata consapevolmente in una zona militare off-limits e si era posizionata di proposito in un angolo cieco da dove non poteva essere vista dal manovratore del bulldozer. Rimase uccisa non dal bulldozer stesso, ma dallo smottamento di un ammasso di detriti». Fino a poco prima i soldati, con candelotti lacrimogeni e altri mezzi anti-sommossa, avevano ripetutamente cercato di far allontanare dalla zona delle operazioni lei e altri attivisti anti-israeliani, «ma la Corrie era sfuggita ai soldati nascondendosi dietro al cumulo di detriti».
Invece l’avvocato della sua famiglia, il palestinese Hussein Abu Hussein, aveva dichiarato alla stampa che «...questo è un giorno nero per gli attivisti dei diritti umani e per le persone che credono nei valori della dignità. Siamo convinti che questa è una decisione sbagliata per tutti noi, innanzitutto per i civili e gli attivisti per la pace».
Fin qui niente di strano. Cosa aspettarsi da una parte civile se non tentare di fare condannare l’imputato, cioè l’esercito israeliano? Però lo stesso legale non aveva usato un tono così anodino e professionale solo un paio di mesi fa quando venne intervistato dall’attore arabo-israeliano Mohammad Bakri nel suo programma settimanale sulla Tv palestinese. «La Germania nazista – esordì l’avvocato della famiglia Corrie - fu per un breve periodo uno stato basato sul diritto e trovò copertura nella legge. Lo stato di Israele invece venne fondato sin dall’inizio sulla rapina e sul furto della patria di una nazione. In realtà, la definizione legale vera e corretta di quello che è successo ai palestinesi è furto di patria». E ancora: «Soffriamo una grande ingiustizia dal mostro gigante. Questo mostro ci attacca quotidianamente e morde la nostra carne nel Negev, in Galilea, nella regione del Triangolo, a Gerusalemme e nei territori occupati di Cisgiordania e Gaza. Ogni giorno morde il nostro corpo». A quel punto l’attore Mohammad Bakri, lo ha ulteriormente incoraggiato a spararla grossa proferendo queste parole: «Voglio calpestare la testa di questo mostro». E l’avvocato Hussein Abu Hussein non si è fatto pregare: «Noi tutti vogliamo calpestare la sua testa, ma parlare non basta. Ognuno ha il proprio ruolo». Già. Il suo ruolo, però, dovrebbe essere quello di fare gli interessi della famiglia di Rachel Corrie. Cui andrebbe chiesto se chiede giustizia o in alternativa le andrebbe bene anche la semplice distruzione dello stato degli ebrei.
di Dimitri Buffa