mercoledì 29 agosto 2012
«Bevi la coca cola che ti fa bene / bevi la coca cola che ti fa digerire / con tutte quelle, tutte quelle bollicine...». Le tasse salutiste annunciate dal ministro Renato Balduzzi ci renderanno più cari i versi di questa provocatoria canzone di Vasco Rossi. L’iniziativa del ministro rivela una concezione dello stato, della fiscalità, profondamente illiberale e anti-economica, ma con le aggravanti dell’inutilità, dell’ipocrisia e della banalità. Oltre al danno di essere governati da statalisti, la beffa (o forse la fortuna?): questi signori non mostrano la minima coerenza per esserlo fino in fondo, né il coraggio di sopportare le conseguenze del loro dirigismo.
C’è qualcuno che davvero ritiene che «un aumento di tre centesimi a bottiglietta» – questo l’aggravio quantificato ieri dal ministro – possa aiutare a «far riflettere – questo lo scopo proclamato – sulla necessità di abitudini alimentari migliori, specialmente per i più giovani»? Non solo l’aggravio è contenuto nell’entità, ma anche circoscritto nei prodotti che colpisce. Perché è stata esclusa una moltitudine di cibi e bevande – anche della nostra tradizione gastronomica – senz’altro nocivi e di cui spesso abusiamo? Perché, per esempio, si sono salvate le merendine? E gli insaccati? Il vino? Il sale? Il caffè? La mozzarella? La pasta? I dolci? Sono salutari forse un etto di pasta alla carbonara, o un crostino di lardo di colonnata, o una bottiglia di Chianti? E perché, al contrario, il fisco non premia i comportamenti virtuosi, come l’esercizio fisico? Per cambiare davvero, in senso “salutista”, i consumi alimentari degli italiani sarebbe servito un aggravio molto più pesante, e anche sui prodotti nostrani, ma avrebbe causato danni enormi all’economia e sollevato resistenze ancora più forti.
Eppure, per quanto sia “mini”, questo nuovo balzello su bibite analcoliche gassate e superalcolici con zuccheri aggiunti, in ragione della loro diffusione tra i ceti popolari garantirà alle casse dello stato un gettito nient’affatto trascurabile di circa 250 milioni di euro l’anno. La nuova tassa, dunque, è inutile sul piano delle abitudini alimentari e ipocrita, perché lo scopo apparentemente nobile – la salute dei cittadini – serve a dissimulare il vero obiettivo: fare cassa. Appare talmente inappropriata allo scopo dichiarato che chiamare in causa lo stato etico o il paternalismo di stato è persino troppo lusinghiero per Balduzzi.
In linea di principio concordiamo con il ministro che «promuovere uno stile di vita più razionale e sobrio non è un risultato malvagio». Ma riteniamo che non sia compito del governo farlo, e che farlo attraverso la leva fiscale introduca pesanti elementi distorsivi nell’economia. Le tasse dovrebbero servire a pagare i servizi erogati dallo stato, non a punire o premiare i cittadini a seconda dei consumi che il politico di turno ritenga “buoni” o “cattivi”. Inoltre, la pressione fiscale in Italia è già troppo elevata, ha già un effetto pesantemente recessivo sulla nostra economia. Se questi micro-aumenti possono risultare tutto sommato trascurabili, segnalano tuttavia che alla ripresa delle attività dopo la pausa estiva il governo è impegnato a perseverare nell’errore piuttosto che a studiare il modo di invertire la rotta.
Correggere gli stili di vita dei cittadini non dovrebbe far parte del campo d’azione di un governo, nemmeno se in senso “salutista”. La tutela della salute rientra invece nelle funzioni dello stato, ma la sua accezione si sta estendendo fino a minacciare le libertà individuali. Oggi il governo pretende di esercitare la sua tutela non solo nei confronti di possibili danni arrecati da terzi, ma anche di quelli che l’individuo adulto e nel pieno delle sue facoltà può autoinfliggersi. Il diritto alla salute può diventare un dovere alla salute senza ledere la libertà individuale?
Se l’obiettivo non è “etico”, ma è contrastare l’aumento dei costi per il servizio sanitario nazionale legati ai comportamenti dannosi per la salute, allora forse si dovrebbe mettere in discussione il modello di sanità pubblica: invece di tassare anche chi non abusa di cibi e bevande, far pagare ai singoli i costi sanitari dei loro stili di vita dissennati.
di Federico Punzi