sabato 18 agosto 2012
Sono in molti ad affannarsi attorno al progetto di un nuova e grande centro che svolga un ruolo di moderazione nella politica italiana. C’è chi lo vuole con l’Udc di Pierfrancesco Casini e chi senza, chi lo vuole post-democristiano e segnato a tal punto dalla cultura dei vecchi cattolici democratici da chiamarlo “cosa bianca” e chi pensa che debba essere il punto di aggregazione di tutte le molteplici sigle ed associazioni liberali esistenti nel paese.
In sistesi, quindi, il nuovo e grande centro dovrebbe essere formato, secondo gli affannati promotori, da tre componenti specifiche. In primo luogo dagli esponenti dei partiti tradizionali finiti nell’area centrista, l’Udc di Casini in testa seguito a ruota dalla parte di Futuro e Libertà rimasta attaccata a Gianfranco Fini. In secondo luogo dai cattolici progressisti che si sono ritrovati la prima volta a Todi e che cercano un qualche spazio politico puntando sulla capacità di trascinamento (per la verità tutta da verificare) dei ministri Passera e Riccardi. In terzo ed ultimo luogo, infine, dai liberali vecchi e nuovi di ogni genere e specie tranne quelli (che poi sono la maggioranza provvista di elettorato autonomo) che figurano dentro il Pdl ed il Pd.
Il mastice unitario che dovrebbe mettere insieme alcuni vecchi professionisti della politica, un po’ di cattolici della Cisl e di qualche associazione di volontariato “ bianco”, i neo-liberali di Montezemolo e Giannino e qualche combattente e reduce dell’antico Pli oltre alcuni ministri “tecnici” disposti al grande salto, dovrebbe essere il cosiddetto “montismo”. Cioè non solo la circostanza di aver insieme sostenuto l’esperienza del governo anomalo del Professore ma l’impegno a portare avanti anche nella prossima legislatura l’azione di risanamento dei conti pubblici avviata dall’esecutivo dell’emergenza voluto da Giorgio Napolitano.
Ma il collante “montiano” non sembra avere la forza di diventare quell’elemento identitario senza il quale nessuna forza politica può raccogliere consensi. Perchè non ha un retroterra politico e culturale capace di fondere insieme componenti così diverse ed in contrasto tra di loro. E, soprattutto, perché non ha dalla sua il vantaggio dei risultati della azione del governo.
I sostenitori del montismo possono solo dire che se al governo fosse rimasto il centrodestra o ci fosse andata la sinistra gli effetti della crisi sarebbero stati peggiori di quelli registrati negli ultimi otto mesi di esecutivo tecnico. Ma con i “se” non si costruisce un soggetto politico nuovo capace di raccogliete il consenso di una larga parte degli italiani decisa a resistere alle sirene del disimpegno o a quelle dei facili estremismi. Tanto più che nel frattempo il peso complessivo dello stato burocratico-assistenziale (tasse, tariffe, pessimi servizi, ecc.) è salito alle stelle senza lasciar intravvedere neppure la più misera luce di speranza. Il “montismo”, in sostanza, benché necessario in una fase convulsa e tormentata della vita pubblica nazionale, non ha raggiunto gli obbiettivi che si proponeva. Anzi, ha addirittura introdotto la sensazione nell’opinione pubblica di essere stata costretta a compiere sacrifici sostanzialmente inutili e destinati ad anticipare altri sacrifici sempre più pesanti e dolorosi. Come può, allora, una forza politica che si propone di rappresentare la novità politica del futuro, pensare di ottenere la fiducia degli italiani lasciando intendere che l’unico futuro su cui possono impegnarsi è fatto di nostalgia del passato e degli inutili sacrifici del presente? Sacrifici, per giunta, avallati dai cattolici montiani e dagli unici liberali del pianeta che non hanno nulla da dire sull’aumento delle tasse.
di Arturo Diaconale